Disapprovare la forma non è necessariamente denigrare il contenuto: tra ideologia e spirito critico.

Alfonso Falanga 12 maggio 2024


"...è urgente-in ambito sociale-un certo margine di manovra nell'espressione di idee, convinzioni, opinioni, gusti distanti dal pensiero comune: paradossalmente, viene dato molto più spazio al turpiloquio, ed alla chiacchiera a vanvera, che alla manifestazione di un contenuto difforme dal main stream. E' evidente, ormai, che il dubbio risulta più disturbante della volgarità gratuita, del luogo comune spacciato per verità filosofica, della banalità venduta come approfondimento".

    È vero che il fenomeno woke in Italia non ha (ancora) raggiunto l'intensità che lo caratterizza negli Stati Uniti.
Ed è ancor più vero quello che scrive Michele Serra quando afferma che nel nostro paese, più che non poter dire alcunché senza offendere qualcuno, si può dire di tutto a tutti e non se ne pagano le conseguenze.
È altrettanto vero che il confine tra libertà di espressione e dovere di pensare prima (durante e dopo) di esprimersi è sottile e, spesso, viene ampiamente scavalcato.
Le parole hanno un peso. Mai sono contenitori vuoti: veicolano all'esterno significati, emozioni, convinzioni.
Le parole sono cose e producono fatti: sono esse stesse fatti. Perciò vanno pesate con attenzione: pesarle vuol dire mettersi nei panni di coloro a cui sono rivolte (non è questione della solita e abusata empatia ma di senso di responsabilità).
Faticoso? Si, ma doveroso, in base a un residuo di etica personale e sociale che ancora ci (dovrebbe) distinguere come esseri umani e cittadini.

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    Detto ciò, è urgente-in  ambito sociale-un certo margine di manovra  nell'espressione di idee, convinzioni, opinioni, gusti distanti dal pensiero comune: paradossalmente, viene dato molto più spazio al turpiloquio, ed alla chiacchiera a vanvera, che alla manifestazione di un contenuto difforme dal main stream. E' evidente, ormai, che il dubbio risulta più disturbante della volgarità gratuita, del luogo comune spacciato per verità filosofica, della banalità venduta come approfondimento.

    Diventa sempre più spesso oggetto di critica chi si azzarda a valutare negativamente un prodotto artistico che, invece, è ben accolto dalla maggioranza: questo, particolarmente, quando quel prodotto rinvia a contenuti di forte impatto sociale. Quasi come se, siccome scrivo o canto o recito temi forti, il risultato debba essere necessariamente un capolavoro ed io debba essere per forza bravo!
Dimenticando che così si fanno due danni: al contenuto stesso, mal rappresentato. E all'arte, dal momento che, allora, basta individuare un tema alla moda, e confezionarlo secondo i canoni dell'immediata accessibilità, per garantirsi il successo o comunque una più che discreta visibilità. E campare di rendita artistica per i giorni a venire...

    L'arte non è solo contenuto: è pure forma. Anche se tra le due dimensioni esistono forti connessioni - al punto che, a volte, la forma è essa stessa contenuto e il contenuto, altre volte, è così dirompente da non richiedere particolari espedienti formali-restano comunque distinti. E una forma eccellente può rappresentare un contenuto debole e un contenuto di valore può perdere la sua pregnanza se debolmente rappresentato.
Perciò, a volte, proprio l'importanza del contenuto e l'adesione al suo valore conduce a porre una particolare attenzione alla forma. In tal caso, si ha il diritto, se non il dovere, di dire "Non mi piace", "È mal fatto", "È confuso, arrangiato, stucchevole, scontato, manipolatorio, ridondante, inopportuno, mal recitato/scritto/ cantato" proprio perché quel contenuto merita ben altra forma espressiva.
Gridando al capolavoro con troppa disinvoltura si fa un regalo immeritato all'artista oltre, ciò che più conta, a svalutare l'oggetto della rappresentazione. In più, non si rende onore a coloro che, nel tempo, quel contenuto lo hanno difeso, sostenuto, valorizzato. Mettendoci la faccia, come si dice. E, a volte, non solo quella...