Anche quando si parla di sciocchezze, ormai, si scatena una lotta tra il Bene e il Male.

Alfonso Falanga, 18 marzo 2024.


Sommario.
Premessa.
Premessa bis.
Quando un messaggio si trasforma in messaggio ideologico.
L'ideologia da storia dell'umanità diventa cronaca del vivere quotidiano.
Il linguaggio dell'ideologia e il linguaggio specialistico: dalla semplicità alla complessità.
Cos'è complesso e cosa, invece, è complicato.
Avere spirito critico.
Conclusione.

"Si tratta di quel genere di certezze secondo cui vuoto e pieno si equivalgono, l'informazione (il più possibile disinformata) è conoscenza, i tuttologi e le tuttologhe di turno sono fini intellettuali, la mera opinione personale coincide con la verità universale (salvo, poi, affermare veementemente che le verità universali non esistono, sono sorpassate, che oggi il mondo è cambiato) (affermazione fatta con l'enfasi di chi crede che la sua costituisca la prima ed unica epoca in cui il mondo sia cambiato), il gusto è visione del mondo e della vita, una parola vale l'altra perché tanto, ci capiamo lo stesso… ".

Premessa.
   In riferimento al titolo, la faccenda potrebbe chiudersi subito con un prevedibile e sempre utile "Non c'è più il senso della misura…". Aggiungendo, semmai, un rassegnato e scontato "È il segno dei tempi".
Oppure se ne potrebbe venir fuori avvalendosi del classico "È colpa dei social…" o ricorrendo al suo equivalente "Certi programmi tv andrebbero aboliti".
Tutte affermazioni ovvie e tra loro intercambiabili, eppure dotate di un sostanzioso fondo di verità.
E la storia finirebbe lì. Tutti a girar pagina cercando il motivo per dare inizio alla prossima sterile e gratificante indignazione, semmai ricorrendo all' ampio ventaglio di opportunità che offre il politically correct.
Ma se si vuole cercare di capire qualcosina in più, allora si deve intraprendere una strada più lunga, impegnativa ed incerta.
Vale la pena provarci, però, piuttosto che accontentarsi di interpretazioni semplicistiche e rassicuranti, quel genere di spiegazioni che non fanno una grinza e, proprio per questo, risultano accessibili sempre e comunque, che richiedono un minimo impegno di tempo e di energie mentali, che dicono niente ma paiono dire tutto e con ciò illudono chi ne fruisce (per scelta, perché sia chiaro che è una scelta e non una costrizione) di sapere tutto e di poter dire tutto su ognuno e su ogni cosa. E di offendersi, indignarsi, gridare allo scandalo quando c'è chi è di parere opposto ed osa esprimerlo con convinzione (deve chiedere scusa!, pare già di sentire).
Si tratta di quel genere di certezze secondo cui vuoto e pieno si equivalgono, l'informazione (doverosamente disinformata) è conoscenza, i tuttologi e le tuttologhe di turno sono fini intellettuali, la mera opinione personale coincide con la verità universale (salvo, poi, affermare veementemente che le verità universali non esistono, sono sorpassate, che oggi il mondo è cambiato) (affermazione fatta con l'enfasi di chi è convinto che la sua costituisca la prima ed unica epoca in cui il mondo sia cambiato), il gusto è visione del mondo e della vita, una parola vale l'altra perché tanto, ci capiamo lo stesso

   Ecco, proprio di questo e su questo, qui, si vuole riflettere, intraprendendo quell'aspro ed incerto percorso di cui sopra e che sintetizziamo con un termine ormai in disuso: approfondimento.


"In questo scenario, il messaggio sotteso a qualsiasi messaggio palese-che si tratti di un'opinione politica oppure di un mi piace o non mi piace un film o un libro o un brano musicale o, ancora, un tipo di pietanza, ecc.- è io valgo se tu non vali, che significa io sono il bene se tu sei il male. Quindi, io, se voglio confermare a me stesso e agli altri che io sono espressione del bene, devo fare di tutto affinché tu risulti essere espressione il male".

Premessa bis.
    In un precedente articolo ho riportato una mia riflessione sull'attuale tendenza ad interpretare opinioni, gusti e punti di vista come manifestazioni di pura ideologia.
Mi riferivo ai casi in cui la comunicazione è vissuta, per lo più, come competizione e, pertanto, un semplice parere contrario al proprio è inteso quale affronto o minaccia. Oppure entrambi. Si tratta delle circostanze in cui far valere il proprio punto di vista implica necessariamente distruggere quello altrui. Distruggere, ovvero: denigrare, ridicolizzare, falsificare, umiliare.
In questo scenario, il messaggio sotteso a qualsiasi messaggio palese-che si tratti di un'opinione politica oppure di un mi piace o non mi piace un film o un libro o un brano musicale o, ancora, un tipo di pietanza, ecc.- è io valgo se tu non vali, che significa io sono il bene se tu sei il male. Quindi, se voglio confermare a me stesso e agli altri che io sono l' espressione del bene (Io=Buono), devo fare di tutto affinché tu risulti essere espressione del male (Tu=Cattivo)(l'Analisi Transazionale, in un'ottica psicologico-relazionale, illustra in modo efficace questa dinamica attraverso il concetto di posizione esistenziale. Al riguardo, rinvio a un mio articolo di qualche tempo fa). 
 Qui, invece, l'accento è posto sul nesso tra tale dinamica e una questione più specificatamente linguistica, oltre che con la mancanza di spirito critico.  

    A tale proposito, si procede ponendo l'attenzione su alcune particolari tematiche, ovvero:
-quand'è che un messaggio è da intendersi come ideologico e, perciò, cosa intendiamo per ideologia;
-i rischi sottesi alla svalutazione della complessità di un evento ed alla sua semplificazione;
-cosa intendiamo per spirito critico.

 "L'ideologia è, perciò, una narrazione della storia dell'uomo (o di una certa storia dell'uomo) chiara, lineare, priva di particolari intrecci, accessibile agevolmente alle nostre facoltà intellettive. In sintesi, l'ideologia, ogni ideologia, è la semplificazione della realtà".

Quando un messaggio si trasforma in messaggio ideologico.
    Si parla spesso, a proposito della storia dell'umanità, di narrazione.
Narrare, ponendosi da un preciso punto di vista e assumendo specifici riferimenti valoriali, è fare ideologia. È ideologia.
Si tratta di uno storytelling sì di ampio respiro ma che, come accennato, si sviluppa attraverso una particolare prospettiva. Ciò è tanto più vero, ad esempio, quando si parla di ideologia in politica, dunque si fa riferimento ad ideologie politiche. Oppure, quando si argomenta sull'origine della vita o nel caso in cui ci si muova nell'ambito dell'economia, oppure dell'arte e della cultura.
    Ideologia è intesa anche come tradizione e, in tal caso, assume un duplice significato: è un rassicurante riferimento per comportamenti attuali e futuri o, al contrario,  è un limite da superare al fine di liberare il pensiero dalle pastoie, appunto, tradizionaliste.
L' ideologia, a volte, proprio per la sua compattezza logica e concettuale, coincide con il mito: è la sua coerenza interna che la colloca in una dimensione sempre più distante dalla realtà rendendola sempre più disinteressata ed immune alle molteplici conflittualità e contraddizioni che rendono la realtà, appunto, reale.
L'ideologia è, perciò, una narrazione della storia dell'uomo (o di una certa storia dell'uomo) chiara, lineare, priva di particolari intrecci, accessibile agevolmente alle nostre facoltà intellettive. In sintesi, l'ideologia, ogni ideologia, è la semplificazione della realtà. E' la riduzione della complessità del reale (tra poco torneremo sulla questione della complessità) ad un meccanismo lineare causa-effetto.
Tutto bene, allora? Potremmo anche rispondere "Si, tutto bene, non ne parliamo più", se non fosse che questa sua semplicità poggia su una rigida dicotomia, quella che vede il Bene contrapporsi al Male, dove Bene e Male assumono particolari contenuti, forme e significati a seconda della specificità della narrazione a cui essi appartengono. Che ci si muova nel campo della politica, o in quello filosofico oppure religioso, o culturale...è sempre una questione del Bene contro il Male. Si tratta sempre e comunque di una competizione (una vera e propria lotta, il più delle volte, una lotta senza quartiere, che non prevede prigionieri) tra i buoni e i cattivi.

L'ideologia da storia dell'umanità diventa cronaca del vivere quotidiano.
     Riassumendo: 1) l'ideologia è la narrazione della lotta tra Bene e il Male; 2) ciò vale qualsiasi sia l'ambito disciplinare a cui quell'ideologia è riconducibile.
Il fatto è che, in epoca attuale (grosso modo, da trent'anni a questa parte), l'ideologia ha travalicato tali confini calandosi nei vari segmenti del vivere quotidiano e diventando, in tal modo, il parametro attraverso cui interpretare i rapporti tra gli individui in tutte le loro molteplici manifestazioni. La post-modernità, insomma, invece di "regalarci" la tanta sbandierata fine delle ideologie (ne parlo nell'articolo citato), ci ha consegnato una moltitudine di ideologie, spacciandola anche come conquista culturale (la classica beffa che accompagna il danno).
Con la pervasività dei social media nella vita dei singoli e dei collettivi, poi, si è ulteriormente e sensibilmente amplificato lo spezzettamento dell'ideologia originando, così, tante narrazioni  minori quanti sono, in un contesto sociale, i bisogni, i gusti e gli orientamenti personali. Ne consegue, nel complesso, la traduzione della vita sociale in uno storytelling che fonda il suo senso e il suo significato su un solo pilastro, il solito, quello del Bene che si contrappone al Male.


"Il linguaggio dell'ideologia è l'antitesi del linguaggio specialistico, quello che, invece, appartiene alla sfera della comprensione e dell'approfondimento, più che della spiegazione. E' un linguaggio complesso e non-prevedibile, razionale sì ma che sollecita anche l'etica e l'emotività di coloro a cui si rivolge".

Il linguaggio dell'ideologia e il linguaggio specialistico: dalla semplicità alla complessità.
   La narrazione, per essere realizzata, necessita ovviamente del linguaggio. Di un certo tipo di linguaggio.
Il linguaggio dell'ideologia è un linguaggio semplice, nel senso che, pur nella sua particolarità teorico-concettuale, tende a descrivere un andamento dei fatti lineare, che procede da una causa fino a giungere ad un effetto. E' un linguaggio che appiana, come d'incanto, le contraddizioni e i conflitti che segnano la vita dei singoli e delle società. Il linguaggio ideologico è semplice perché è l'ideologia ad essere semplice.
Il linguaggio dell'ideologia è l'antitesi del linguaggio specialistico, quello che, invece, appartiene alla sfera della comprensione e dell'approfondimento, più che della spiegazione.
Il linguaggio specialistico è un linguaggio complesso e non-prevedibile, razionale sì ma che sollecita anche l'etica e l'emotività di coloro a cui si rivolge. Tale è siccome la realtà a cui esso si riferisce è la realtà vera, non lineare, non dicotomica: è una realtà complessa e contraddittoria, non sempre interpretabile attraverso i modelli causa-effetto e stimolo-risposta.

Cos'è complesso e cosa, invece, è complicato.
   In altre occasioni (1, 2, 3) mi sono soffermato sui significati di complesso e complicato e sulla distanza concettuale tra i due termini, una distanza spesso abolita nella comunicazione quotidiana.
Quando parliamo tra amici, o comunque in contesti informali e non-professionali, capita, infatti, di utilizzare indifferentemente complesso o complicato per riferirsi ad un evento di difficile interpretazione o ad un problema che sembra impossibile da risolvere.
Si tratta di circostanze in cui quest'alternanza terminologica non produce una particolare confusione: alla fine, il più delle volte, risulta irrilevante se si giunge o meno a capirci qualcosa sull'oggetto della discussione. L'obiettivo della comunicazione ordinaria, in genere, non è l'approfondimento bensì far mostra di sé (di quel che si pensa e si prova) e/o il passatempo
È tutt'altra cosa se ci muoviamo in dimensioni più specialistiche e ci disponiamo a interpretare gli eventi non solo per parlarne bensì per approfondirne i molteplici aspetti e valutarne le possibili conseguenze su contesti più ampi. E, se è necessario, a porre rimedi. Si tratta, in tale circostanza, di un profondo spostamento dei piani logici attraverso cui si leggono i fatti. Si va oltre, insomma, una prospettiva ordinaria: di conseguenza alternanze, commistioni, confusioni linguistiche non sono previste (non devono essere previste) se si vogliono evitare analisi altrettanto confuse e inutili, se non del tutto dannose.

La complessità non è spiegabile, nel senso che non è leggibile attraverso il modello causa-effetto.
La complessità va compresa, va accolta e interpretata proprio a partire da quella simultaneità. L'evento complesso, cioè, va letto nel suo insieme, proprio come quando si ammira un mosaico, il cui senso e il cui valore artistico si perdono se lo osserva focalizzandosi solo su una porzione di esso.


   L'approfondimento si contrappone alla linearità della narrazione ideologica costringendo ad abbandonare la comfort zone della semplificazione, ovvero della riduzione dei molteplici livelli attraverso cui si presenta un fatto ad un unico livello, quello più accessibile immediatamente sia sotto l'aspetto cognitivo che linguistico (non sempre, però, il più idoneo a capirci qualcosa, ma sempre buono per parlare illudendosi di sapere).
Proprio qui sta la distanza concettuale tra complesso e complicato.
Tale distanza nasce dalla circostanza che ogni evento, per quanto poco significativo possa essere, include in sé più di una dimensione, dunque è analizzabile da più prospettive: quella razionale, il punto di vista etico e cognitivo, l'ottica emotiva.
L' evento, qualsiasi evento, dunque racchiude in sé molteplici variabili. La complessità deriva dalla simultaneità con cui esse si presentano: le variabili (o livelli, o elementi, oppure componenti, fa lo stesso), procedono sempre insieme.
La simultaneità fa sì che esse, a volte, diano origine a contraddizioni e conflitti che rendono, all'apparenza, quell'evento irrazionale, incomprensibile, insensato. Complicato, appunto.
La complicanza, se ne deduce, appartiene prevalentemente alla sfera della razionalità: in quest'ottica, ogni evento è spiegabile, ovvero può essere riconducibile ad un modello interpretativo lineare, che procede da una causa ben precisa e arriva ad un effetto, altrettanto chiaro e definito. Quando tale modello non è applicabile all'evento, ovvero non se ne viene a capo, allora si dice che quel fatto è complicato. Il che è sinonimo di senza soluzione, cioè, come già accennato, irrazionale, incomprensibile, insensato. Da questo punto di vista, quell'evento ha in sé sicuramente un errore.
La complessità, invece, non è spiegabile, nel senso che non è leggibile attraverso il modello causa-effetto.
La complessità va compresa, va accolta e interpretata proprio a partire da quella simultaneità. L'evento complesso va letto nel suo insieme, proprio come quando si ammira un mosaico, il cui senso e il cui valore artistico si perdono se lo osserva focalizzandosi solo su una sua porzione.
La complessità, dunque, è fuori da qualsiasi comfort zone. Come lo è il linguaggio a cui è necessario ricorrere per interpretarla, comprenderla, darle senso.


"...si può intendere con spirito critico la capacità di cogliere, e accogliere cognitivamente ed emotivamente, la complessità dell'evento individuandone il livello che si vuole privilegiare come riferimento per approfondirlo, quell'evento, comprendendone le origini e individuarne i possibili orizzonti".

Avere spirito critico.
   In una delle premesse, si è affermato che un motivo alla base dell'attuale e persistente conflittualità della comunicazione sociale è che ogni discorso poggia sul mito del Bene che si contrappone al Male. Di qualsiasi cosa si parli e dovunque se ne parli, con qualsivoglia interlocutore, si sfocia sempre in conflitto tra buoni, da una parte, e cattivi, dall'altra. Tutto, anche la chiacchiera, diventa ideologia.
Uno dei motivi alla base di tale dinamica-in effetti, è il vero ed unico motivo- è la mancanza di spirito critico.
Alla luce delle precedenti riflessioni, si può intendere con spirito critico la capacità di cogliere, e accogliere cognitivamente ed emotivamente, la complessità di un evento individuandone il livello che si vuole privilegiare per approfondirlo, comprendendone le origini e individuarne i possibili orizzonti.
Tale procedura necessita di una sorta di atto decisionale attraverso cui abbandonare una serie di zone di comfort, ovvero:
-la tranquillizzante semplificazione: approfondire richiede sforzo mentale ed emotivo, e non sempre tale impegno conduce a conclusioni gradite. A volte, gli esiti sono del tutto inaspettati e disorientanti;
-l'illusione di sapere: approfondire è il tentativo di conoscere, non è garanzia di conoscenza. L'approfondimento ha origine dalla consapevolezza della propria ignoranza dell'oggetto di riflessione.
-il linguaggio ordinario: approfondire implica l'abbandono del linguaggio quotidiano, abitudinario e rassicurante, per adottare un linguaggio specialistico, dove ogni parola ha il suo senso e il suo significato. Il linguaggio specialistico non prevede intercambiabilità tra le parole. Non è automatico, anzi è l'antitesi degli automatismi linguistici. Il linguaggio dell'approfondimento, perciò, è impegnativo: richiede decisione (decidere di adottarlo), attenzione costante, costante consapevolezza di quel che si dice, di come lo si dice, del motivo e del perché lo si dice. 
-la dicotomia bene-male: approfondire è l'antitesi della semplificazione e, dunque, del fare ideologia. Questo non implica che, in esso, non ci siano il bene e il male. Vuol dire "semplicemente" che bene e male possono coesistere e/o assumere posizioni intercambiabili. Nulla, insomma, nella loro diatriba, è definitivo.
-la visione della comunicazione interpersonale come processo lineare, che ha origine da uno stimolo e produce una conseguenziale risposta: la comunicazione, nella pratica, invece è, spesso, un labirinto.

"Mediocrità significa sapere il minimo indispensabile, fare il minimo indispensabile, chiedere il minimo indispensabile. Che non sempre basta a capire e a risolvere. Quasi mai, basta. Specialmente tenendo conto del grado di complessità a cui, ormai, sono giunte le dinamiche sociali, economiche e culturali locali e globali. E' una complessità che non fa sconti. Che non perdona. Non aspetta.
Una complessità che si fa beffe della nostra illusione di sapere".


Conclusione.
   Lo spirito critico, dunque, è uno strumento: se ne apprendono i contenuti e le modalità di utilizzo, lo si sperimenta, lo si affina. E' uno strumento razionale, cognitivo ed emotivo necessario a comprendere la complessità della realtà.
Eppure, l'apprendimento e l'applicazione dello spirito critico, dunque dell'approfondimento, è quanto, oggi, più sembra essere lontano dagli orizzonti culturali e linguistici della società occidentale, sempre più orientata verso l'accettazione della mediocrità come qualità inevitabile delle relazioni interpersonali e della performance dei detentori, ad ogni livello istituzionale, del potere decisionale.
E' una sorta di legge di natura: la semplificazione conduce alla mediocrità. La genera, l'assimila, se ne nutre. La nutre.
Mediocrità significa sapere il minimo indispensabile, fare il minimo indispensabile, chiedere il minimo indispensabile. Che non sempre basta a capire e a risolvere. Quasi mai, basta. Specialmente tenendo conto del grado di complessità a cui, ormai, sono giunte le dinamiche sociali, economiche e culturali locali e globali. E' una complessità che non fa sconti. Che non perdona. Non aspetta.
Una complessità che si fa beffe della nostra illusione di sapere. Della nostra presuntuosa convinzione che il marasma di informazioni di cui ci cibiamo quotidianamente coincida con la conoscenza. Della nostra indifferenza (cecità) agli eventi che non coincidono con quel che già sappiamo o crediamo di sapere.
Indubbiamente, per far fronte alle difficoltà che siamo destinati ad affrontare a tutti i livelli dell'esistenza, abbiamo bisogno di molteplici strumenti materiali ed immateriali. Tra questi ultimi, lo strumento da privilegiare ai fini dell'effettiva comprensione di come va il mondo e di come è più opportuno attrezzarsi al riguardo, emerge lo spirito critico.
Autentica arma di costruzione di massa


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