Alessandro Baricco, Castelli di rabbia (1991), Feltrinelli, Milano, 2017.

"…nel finestrino, di là dal vetro, sfilavano via i cocci di un mondo fatto a pezzi, perennemente in fuga, sminuzzato in migliaia di immagini lunghe un istante, strappato via da una forza invisibile", p. 42.
"Nel senso che forse, sempre, e non per tutti, altro non è mai lèggere, che fissare un punto per non essere sedotti, e rovinati, dall'incontrollabile strisciare via del mondo. O per rimandare la tentazione di un rovinoso desiderio a cui, si sa, non si saprà resistere", p. 45.
"Una cosa che viene da lontano sarebbe parsa uno spicchio qualunque di una vita qualunque. Un uomo sulla sua sedia a dondolo, una donna che si volta, lentamente, e rientra in casa. Un niente. Crepita, la vita, brucia istanti feroci e negli occhi di chi passa anche solo a venti metri da lì non è che un'immagine come un'altra, senza suono e senza storia. Così", p. 82.
"Qualcuno restò indietro a guardare le fiamme che si alzavano sempre più alte. Poi fu un attimo: un'aiuola di cespugli, a pochi passi dalla tenda, si accese come un lampo e iniziò a crepitare con ferocia fino a lambire il lampadario a petrolio che pendeva dal soffitto e che cadde con uno schianto così che in un attimo il fuoco parve dilagare tutt'intorno come un groviglio di ruscelli in fiamme lanciato all'impazzata contro ogni altra cosa, in un contagio fulmineo di fuoco e luce e fumo e rovente distruzione. Uno spettacolo", p. 114.
"E poi chi l'ha detto che si deve proprio vivere allo scoperto, sempre sporti sul cornicione delle cose, a cercare l'impossibile, a spiare tutte le scappatoie per sgusciare via dalla realtà? È proprio obbligatorio essere eccezionali? […] C'è una dignità immensa, nella gente, quando si porta addosso le proprie paure, senza barare, come medaglie della propria mediocrità. E io sono uno di quelli", p. 152.
"Scivolavano via, le sue giornate, come parole di una liturgia antica. Scompaginate dall'immaginazione e riordinate dal fedele compasso della quotidianità", p. 162.