Citazioni


"Nella società e nella cultura contemporanee, il problema della legittimazione del sapere si pone diversamente. La grande narrazione ha perso credibilità, indipendentemente dalle modalità di unificazione che le vengono attribuite […] Una scienza che non ha trovato la sua legittimità non è vera scienza, essa cade al più basso dei ranghi, quello di ideologia o di strumento di potenza…".
Jean-FranÇois Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere (La condition postmoderne, 1979), tr. Carlo Formenti, Feltrinelli, Milano, 2014, pp. 60-61.
"Una società può essere definita liquido-moderna se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. […] La vita liquida è, insomma, una vita precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza. Le preoccupazioni più acute e ostinate che l'affliggono nascono dal timore di non riuscire a tenere il passo di avvenimenti che si muovono velocemente, di rimanere indietro, di non accorgersi delle date di scadenze. […] La vita liquida è una successione di nuovi inizi".
Zygmunt Bauman, Vita liquida (Liquid Life, 2005), tr. Marco Cupellaro, Laterza, Bari, 2008, pp. 4-5.
"Più di ogni altra cosa, abbiamo l'impressione di perdere il controllo delle nostre vite, ridotti a pedine mosse avanti e indietro sullo scacchiere da giocatori sconosciuti indifferenti ai nostri bisogni, se non apertamente ostili e crudeli, e pronti a sacrificarci nel perseguimento dei loro obiettivi. Il pensiero del futuro, fino a poco tempo fa sinonimo di più comfort e meno disagi, tende oggi a evocare spesso la prospettiva di essere riconosciuti e classificati come incapaci e inadatti al compito, di perdete valore e dignità e, per questa ragione, di essere emarginati ed esclusi".
Zygmunt Bauman, Sintomi alla ricerca di un oggetto e di un nome, tr. Pietro Terzi, in La grande regressione, AA. VV., Feltrinelli, Milano, 2008, p. 32.
"L'età globale è lo sfondamento di confini spaziali, politici ed economici-fenomeni diversi come il terrorismo e come la coesistenza cinese di comunismo e capitalismo sono riconducibili non solo al collasso delle ideologie ma anche delle linee di separazione con cui gli Sati e gli Imperi (ciascuno portatore di un sistema economico) striavano efficacemente il mondo-, ed è insieme la fine della linearità temporali moderne, del tempo vettoriale e del progressivo svilupparsi dell'umanità".
Carlo Galli, L'umanità multiculturale, il Mulino, Bologna, 2008pp. 42-43.
"Con l'età globale si è realizzata l'umanità come «unità divisa» del genere umano […] un'umanità divisa che per la sua disomogeneità e impurità non è «moltitudine» quanto piuttosto «umanità casuale» […] Il mondo è ovunque. E allo stesso modo non è da nessuna parte. La perdita del mondo, già teorizzata da Arendt, si dà oggi nel momento in cui l'astratto e il concreto scompaiono nella nuova categoria del virtuale; una dimensione, questa, che va oltre la rappresentazione moderna perché in esso si perde anche la differenza tra universale astratto e il dato empirico naturale: ogni esperienza è solo narrazione…".
Carlo Galli, L'umanità multiculturale, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 44-46.
"Tutti questi casi hanno in comune quell'evento terribile che è l'imprevedibilità. E di fronte all'imprevedibile, di fronte a ciò che non si lascia in alcun modo anticipare, si scatena in tutti noi l'angoscia primordiale, quella che provavano i primi uomini di fronte a u mondo che non riuscivano a decifrare. […] A questo punto il cuore, un tempo tumultuoso e invocante, si fa piatto, non reattivo, pronto a declinare ora nella depressione ora nella noia".
Umberto Galimberti, L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano, 2007, pp. 51-52.
"Ciò che qui chiameremo il Cigno nero (con la maiuscola) è un evento che possiede le tre caratteristiche seguenti. In primo luogo, è un evento isolato, che non rientra nel campo delle normali aspettative, poiché niente nel passato può indicare in modo plausibile la sua possibilità. In secondo luogo, ha un impatto enorme. In terzo luogo, nonostante il suo carattere di evento isolato, la natura umana ci spinge a elaborare a posteriori giustificazioni della sua comparsa, per renderlo spiegabile e prevedibile".
Nassim Nicholas Taleb, Il cigno nero (The Black Swan, 2007), tr. Elisabetta Nifosi, il Saggiatore, Milano, 2008, p.11.

"Il susseguirsi delle immagini cattura l'attenzione, attenua la soglia di vigilanza del mondo e conduce la coscienza in una sorta di fascinazione esclusiva […] Ma questa regressione della coscienza soggettiva, sotto la pressione di stimoli che la espellono dal suo interno, favorisce al contempo, così come la possessione, un vissuto di onnipotenza, una sorta di dilatazione di Me partecipativo […] La televisione offre un'occasione comoda e quasi sempre disponibile di vivere per procura...".
Jean-Jaques Wunenburger, L'uomo nell'era della televisione, (L'Homm à l'âge de la télevìsion, 2000), tr. Monica Buondonno, Ipermedium libri, Napoli, 2005, pp. 53-54.

"Nonostante cancel culture possa apparire un termine senza molto senso e, al contempo, interpretabile in troppi modi, c'è un problema (se proprio vogliamo chiamarlo così): si registra una crescente tendenza alla condanna frettolosa di personaggi pubblici o meno, anche solo a causa di idee espresse male o non in linea con il sentire di una precisa comunità. Specialmente nel mondo anglosassone, lo spazio di libero dibattito nei campus universitari si è molto limitato. Esattamente come ha scritto il New York Times, molte persone decidono di non partecipare al dibattito pubblico proprio per paura di dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato e quindi di diventare vittime di shitstorm. Allo stesso tempo questa è una tendenza che non ha colore politico, anche se la stampa decide di usare cancel culture solo quando viene da ambienti cosiddetti progressisti […] questa tendenza al call-out (poi progressivamente chiamata cancel culture) è stata sempre più associata a presunti estremi di una politica cosiddetta woke. Quest'altra parola, proveniente dal vernacolare afro-americano, è finita con l'essere usata in modo dispregiativo proprio per indicare chi sembrerebbe avere come missione di vita quella di vigilare sulla condotta del prossimo..."
Emanuele Monaco, Fenomenologia della Cancel culture: tra Woke Capitalism e diritti delle minoranze, https://site.unibo.it/canadausa/it.