-Denuncia sociale, denuncia esistenziale: mai schierata, mai urlata.
La narrativa di Steinbeck non è consolatoria. È un'opera di denuncia a volte prettamente sociale e, altre, di sapore più esistenziale e che, però, mai si schiera ideologicamente né si avvale – per giungere al suo scopo- dell'urlo, dell'esagerazione: all'autore basta il suo talento artistico per realizzare i suoi scopi.
Nei romanzi di Steinbeck ogni frase è una pennellata. Ogni parola è un colore. E quelle parole e quelle frasi, insieme, vanno a formare un mosaico armonioso ma non per questo scontato, prevedibile. Le immagini disegnate attraverso le parole sono vivide, precise, perfettamente coerenti con l'intenzione dell'autore di descrivere una realtà che è, sì, nella sua testa ma che egli vuole far arrivare al lettore così vera più della realtà "vera": è una dimensione carica di segni, di simboli e di emozioni.
Le frasi mai hanno fretta di concludersi. Mai un periodo o dura troppo o si interrompe prima del tempo necessario all'autore per dire quel che ha intenzione di dire. Le parole, in Steinbeck, delimitano il tempo ma senza comprimerlo, senza soffocarlo. Le parole lo governano, il tempo, non il contrario: le parole imprigionano le cose e lo fanno per meglio mostrarle e per mostrare tutto quel che, per loro tramite, è possibile evocare.
La perfezione del suo stile narrativo, l'estrema coerenza tra intenzione e parola, l'evidente piacere che l'autore prova attraverso l'atto dello scrivere- l'ambizione che si manifesta pagina per pagina senza alcun tentativo di mascherarsi per qualcosa di diverso da quel che è- non devono trarre in inganno: in Steinbeck non c'è alcuna autoreferenzialità. Alcun compiacimento fine a se stesso. Tra le sue pagine si avverte fortemente la presenza del lettore, che è la variabile essenziale della dimensione in cui spazia il talento artistico dell'autore.
Steinbeck scrive anche per il lettore. Anzi, principalmente per il lettore.