Eduardo!

Alfonso Falanga, 10 gennaio 2025


"È tra gli autori che, oltre a richiamare Napoli e le sue peculiarità culturali e sociali, ha la forza di sondare la psicologia delle persone-quella che ne orienta la quotidianità - dando senso alla complessità delle vicende umane, che accadano a Napoli o altrove.
Egli fa filosofia: ma la sua è una filosofia che non si rivolge ai grandi sistemi, bensì ha origine dalla quotidianità, dalla normalità delle persone normali (trovatemi, poi, un personaggio eduardiano che sia normale) e ad essa vi ritorna".

Queste non sono note di critica letteraria.
Si tratta, più sobriamente, delle riflessioni di un appassionato lettore di Eduardo De Filippo.
Premessa 1.
Non pochi sono gli scrittori (romanzieri, drammaturghi, poeti, compositori di testi musicali) che, automaticamente, evocano in me il mistero napoletano. Tra questi, Eduardo De Filippo occupa un posto privilegiato. È tra gli autori che, oltre a richiamare Napoli e le sue peculiarità culturali e sociali, ha la forza di sondare la psicologia delle persone-quella che ne orienta la quotidianità - dando senso alla complessità delle vicende umane, che accadano a Napoli o altrove.
Egli fa filosofia: ma la sua è una filosofia che non si rivolge ai grandi sistemi, bensì ha origine dalla quotidianità, dalla normalità delle persone normali (trovatemi, poi, un personaggio eduardiano che sia normale) e ad essa vi ritorna.
Premessa 2.
Eduardo, io, l'ho scoperto tardi. Non che da ventenne/trentenne non l'avessi letto, che non avessi avuto la fortuna di assistere ad alcune sue rappresentazioni al Teatro Sannazzaro: ma mi irritava. Le sue trame, il suo lento incedere, il suo dialetto, le sue pause mi sembravano l'espressione di una Napoli oleografica e, in quanto tale, passata, stagnante, ancorata caparbiamente e colpevolmente alle sue tradizioni: una Napoli ostile alla modernità e alla modernizzazione, con una popolazione rassegnata alla sua rassegnazione, alla sua precarietà, alla sua arte di arrangiarsi. Alla sua cattiveria, quella derivante proprio da queste sue "qualità".
In me c'era la speranza che quella Napoli sarebbe un giorno cambiata, che il suo malessere sociale ed esistenziale sarebbe stato sconfitto, che il progresso avrebbe trionfato. Che l'arte di arrangiarsi si sarebbe prima o poi tradotta in arte di vivere e non semplicemente di sopravvivere.
Perciò, in questa prospettiva, l'opera di Eduardo mi appariva una sorta di palla al piede della città: una città che, invece, meritava il cambiamento.
Solo dopo qualche decennio ho capito che il buono di Napoli, il suo riscatto, la sua modernità, la sua arte di vivere erano-sono-racchiusi proprio in quelle opere. Anche in quelle opere.
Ho capito che proprio Eduardo De Filippo, con l'immensità dei suoi lavori, era- ed è- la speranza.
Premessa 3.
Queste note rinviano ad alcuni tra i testi più noti dell'Autore. Nello specifico, Natale in casa Cupiello, Napoli milionaria!, Filumena Marturano, Questi Fantasmi!.
La coralità nell'opera di Eduardo: i Cupiello.
"Nel tranello dell'eroe unico sono, a volte, inciampati alcuni tra gli interpreti dei testi eduardiani: vuoi perché incapaci di resistere a impulsi narcisistici -di un narcisismo fine a se stesso e non già di quel genere indispensabile all'essere attore e attrice-, vuoi in quanto influenzati da una visione ormai arcaica di capocomico".
I testi sopra indicati, a mio avviso, includono più di altri un tratto che segna la maggior parte dei lavori dell'Autore: la coralità, e ciò a dispetto del luogo comune secondo cui egli abbia scritto i suoi testi pensando principalmente a se stesso.
Nelle sue commedie non ci sono protagonisti unici (discorso a parte merita Filumena Marturano, di cui diremo tra poco). Il protagonista vero e unico è la storia stessa, quella che è oggetto della narrazione ed alla cui costruzione partecipano tutti i personaggi. Alcuni vi contribuiscono in misura maggiore rispetto agli altri, ovviamente, ma la vicenda prende corpo grazie al contributo di tutti coloro che ne sono protagonisti.
Tale distinzione certamente risulta più agevole da fare se ci si riferisce ai testi scritti: nella loro rappresentazione teatrale, infatti, quasi per riflesso condizionato si tende a considerare eroe della vicenda il personaggio interpretato dallo stesso Eduardo e ciò nonostante egli si sia, generalmente, circondato di attori e attrici di ottimo livello: anche dai teatranti alle prime armi-impegnati in ruoli minori ma mai marginali- ha sempre preteso il massimo dell'impegno.
Nel tranello dell'eroe unico sono, a volte, inciampati alcuni tra gli interpreti dei testi eduardiani: vuoi perché incapaci di resistere a impulsi narcisistici -di un narcisismo fine a se stesso e non già di quel genere indispensabile all'essere attore e attrice-, vuoi in quanto influenzati da una visione ormai arcaica di capocomico. In Natale in casa Cupiello diretto e recitato da Salemme, ad esempio, ho trovato del tutto fuori luogo quel fascio di luce che, nella scena conclusiva, cade dall'alto ad illuminare-e dunque far risaltare su tutto il resto della scena-il volto e il corpo di Luca morente.


Proprio Luca Cupiello non esisterebbe nella sua drammaticità senza tutti gli altri protagonisti: da Concetta a Tommasino, da Ninuccia a Nicola, da Vittorio a Pasqualino e gli altri, anche quelli relegati a ruoli cosiddetti minori. Una coralità che emerge pure nei momenti in cui la scena è attraversata da uno o due soli attori.
Un esempio al riguardo è il drammatico confronto tra Nicola, marito di Ninuccia, e Vittorio, amante della donna. Evento breve ma intenso che sintetizza in pochi minuti il conflitto familiare che si svolge a più livelli: tra Luca, moglie e figli, tra Ninuccia e il marito, tra la figlia e la madre, tra marito e amante. E anche tra Pasquale, fratello di Luca, e l'intero nucleo domestico:
"Pasquale: [] I parenti? Iddio ne scampi e liberi! Che belli pariente…Tengo 'e pariente, tengo! (E da dentro si fa ancora sentire) 'E pariente…Che belli pariente!", 1).
Dramma che ha il suo epilogo non solo nella semplice (si fa per dire) morte di Luca ma nel fatto che, in quel triste evento, egli scambia Vittorio per Nicola (la domanda è lecita: l'errore è autenticamente dovuto al male che sta consumando Luca oppure è un suo ultimo, strenuo e consapevole tentativo di manipolare la volontà ed i sentimenti della figlia verso il marito e l'amante?).
In ogni caso, si tratta di un momento di intensa coralità in cui ogni protagonista è chiamato a confrontarsi con la sua coscienza (altro che fascio di luce luminoso che scende dall'alto…).
Tutti, insomma, sono eroi e, allo stesso tempo, nessuno lo è in maniera esclusiva.
Forse il vero eroe solitario è proprio il presepe (cosa sarebbe Luca Cupiello senza il presepe?), su cui convergono le diverse energie che animano il conflitto familiare.
È, infatti, attraverso il presepe che Luca Cupiello vuole affermare la sua autorità patriarcale e le tradizioni su cui essa poggia (e traballa). L'esempio classico a riguardo è l'insistenza con cui chiede al figlio, già conoscendone la risposa, se gli piace 'o Presebbio.
Sempre il presepe è l'oggetto della protesta di Tommasino verso tale autorità: ribellione, in particolare, nei riguardi della pigrizia mentale del genitore che, e Tommasino lo avverte anche solo epidermicamente, fa del presepe la cortina fumogena dietro cui ripararsi per non prendere piena coscienza del dramma familiare di cui egli è il principale artefice.
Anche Concetta fa del presepe lo strumento con cui manifesta, seppur debolmente, la sua disapprovazione verso l'ignavia del marito.
"Concetta (tornando con il barattolo di colla fumante) 'A colla… (raggiunge il tavolo dov'è il Presepe per collocarvi sopra il barattolo di colla) Io nun capisco che 'o faie a ffa', stu Presebbio. Na casa nguaiata, denare ca se ne vanno…E almeno venisse bbuono!", 2).
Verso il presepe si scaglia materialmente la rabbia di Ninuccia, figlia esasperata dalle imposizioni familiari che l'hanno costretta-e la vorrebbero ancor obbligare-ad un matrimonio con un uomo che lei non ama, Nicola, e, allo stesso tempo, ad allontanare da sé il vero amore della sua vita, Vittorio.
Sempre il presepe è al centro della scena finale quando Tommasino finalmente risponde "Sì" alla domanda che Luca gli rivolge per l'ultima volta in punto di morte: "Tommasi', te piace 'o Presebbio?", 3).