Emmaus, o dell'inconsapevolezza.
Alfonso Falanga, 8 maggio 2024.
"Come possiamo non capire che le parole, tutte, hanno un peso? Che rappresentano cose e, dunque, sono esse stesse cose?
Come possiamo non sapere che, una volta dette, le parole producono effetti, che perciò non ci sono parole vuote, inutili, che la cosa più stupida -e pericolosa- che si possa pensare e dire è sono solo parole?"
Emmaus è il titolo che Alessandro Baricco dà ad uno dei suoi racconti, quello che apre la raccolta I corpi 1).
Emmaus è il nome di una località, poco distante da Gerusalemme, dove la narrazione biblica (Luca, 24,13) colloca un episodio legato alla resurrezione di Gesù Cristo.
È presso Emmaus che due Apostoli-uno di nome Cleope-camminano e, intanto, parlano tra loro di Gesù e della sua resurrezione. Evento di cui, però, essi non hanno traccia se non il vuoto lasciato dallo spostamento della pietra tombale. Del Cristo risorto, dunque vivo, nessun segno. Questo è quanto hanno saputo da Pietro, recatosi presso il sepolcro dopo il racconto delle donne, quelle al seguito di Gesù fin dalla Galilea, e che hanno assistito prima alla sua morte e, poi, alla sua sepoltura ad opera di Giuseppe, "…membro del sinedrio, persona buona e giusta" (Luca, 23, 30).
Esse, il primo giorno dopo il sabato, giornata di riposo come prescritto dal comandamento, raggiungono il sepolcro trovandolo vuoto: solo la pietra tombale è rotolata via. Lì incontrano due uomini "…in vesti sfolgoranti" (Luca, 24, 4), verso cui provano stupore e timore: si tratta di due Angeli, che confermano l'avvenuta resurrezione.
Ma quando le donne narrano l'accaduto agli Apostoli, questi considerano la loro testimonianza nulla più che un vaneggiamento. Pietro si reca comunque presso il sepolcro-il dubbio gli viene, oppure vuole soltanto essere certo di quella che ritiene che sia la dabbenaggine delle donne- e vi trova la conferma di quanto affermato da Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo (Luca, 24,10).

È presso Emmaus, dunque, che Cleope e l'altro Apostolo discutono dell'accaduto: preda del loro scetticismo, i due non si accorgono che il viandante che li ha appena affiancati, e che fa domande su quel che vanno dicendo, è proprio Gesù. Proprio colui di cui stanno dubitando. Ed è proprio il loro scetticismo a renderli ciechi rispetto a quel che essi stessi avevano sperato e cercato.
I due discepoli diventano consapevoli della presenza di Cristo solo quando, invitatolo a cena, Gesù "…prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro" (Luca, 24, 30). Soltanto a quel punto, agli Apostoli "…si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista" (Luca, 24, 31). Questa volta pare proprio che sia Gesù a restare deluso: i suoi discepoli, in effetti, la prova l'hanno fallita. Hanno dubitato, non hanno dato ascolto alle parole dei Profeti, hanno snobbato la testimonianza delle donne.
Baricco dedica scarse due paginette all'episodio biblico, eppure è evidente quanto le reputi significative per l'intera storia 2). In esse, attraverso la voce del narratore, lo scrittore pone un quesito che sembra rivolgere sì a se stesso ma che, essenzialmente, rinvia al lettore, un quesito che vale come monito: come abbiamo potuto non sapere? Proprio come i due Apostoli che, ad un certo punto, si interrogano su quanto siano colpevoli per lo scetticismo che li ha resi ciechi di fronte a Gesù risorto e si chiedono come abbiano fatto a non capire, a non riconoscere Cristo, proprio loro, quelli che avrebbero dovuto riconoscerlo prima di chiunque altro. Proprio loro, gli esperti, i prescelti
È la medesima domanda che si fa la voce narrante del racconto-uno dei quattro protagonisti insieme a Bobby, il Santo e Luca-quando si chiede come, lui e i tre amici, abbiano fatto a non capire quanto il mondo sia ben più complesso di quello a cui li ha (mal)preparati la loro educazione, fortemente dottrinale, e quanto disfunzionale possa essere la normalità a cui essi sono stati destinati.
"Abbiamo tutti sedici, diciassette anni-ma senza saperlo veramente, è l'unica età che possiamo immaginare: a stento sappiamo il passato. Siamo molto normali, non è previsto un altro piano che essere normali, è un'inclinazione che abbiamo ereditato nel sangue", (Ivi, p. 27).
"Come abbiamo potuto non sapere, per così tanto tempo, nulla di ciò che era, e tuttavia sederci alla tavola di ogni cosa e persona incontrata sul cammino?", (Ivi, p. 67).
Pur non volendo, i quattro giovani sono costretti a superare i confini del loro mondo semplificato per confrontarsi con la complessità della realtà vera, quella che essi scoprono attraverso Andre-la quinta protagonista, forse la principale- e ne restano subito travolti.
Ed è attraverso i dubbi dei protagonisti che l'autore ci domanda come facciamo noi a non sapere. E questo riguardo sia ad eventi drammatici, ed epocali, sia ad eventi più quotidiani ma non per questo poco significativi.
Tra tutte le domande possibili, derivanti dalla prima, ne emerge una particolarmente imbarazzante, disorientante e colpevolizzante: come possiamo non sapere che le parole contano?
Come possiamo non capire che le parole, tutte, hanno un peso? Che rappresentano cose e, dunque, sono esse stesse cose?
Come possiamo non sapere che, una volta dette, le parole producono effetti, che perciò non esistono parole vuote, inutili, e che la cosa più stupida -e pericolosa-che si possa pensare e dire è sono solo parole?
Come possiamo non capire che le parole non servono soltanto a riempire brevi intervalli di tempo? A colmare vuoti?
Come possiamo non sapere che le parole non sono intercambiabili, sostituibili l'una con l'altra, ma che ognuna vale per sé? E che, perciò, sono da pronunciare con consapevolezza, attenzione e parsimonia? E non con colpevole disinvoltura? Perché le parole si traducono in cose, e le cose sono fatti, e i fatti formano la nostra realtà e quella di chi verrà dopo di noi.
"Ci sarà forse un gesto che ci farà capire. Ma per adesso, noi viviamo, tutti" (Ivi, p. 67), dice il protagonista del racconto, confessando così l'inconsapevolezza in cui galleggia la sua esistenza e quella dei suoi compagni.
Noi, di gesti e segni per capire ne abbiamo ricevuti e parecchi. Ne riceviamo quotidianamente.
L' attesa, perciò, non ci è più concessa. Non ci spetta. Ogni diritto al riguardo è revocato.
Non la meritiamo, l'attesa. Non più.
1) Alessandro Baricco, I corpi (Emmaus, Mr Gwyn, Tre volte all'alba, La Sposa giovane), Feltrinelli, Milano, 2024.
2) Ivi, pp. 66-67.
