Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov (Brat'ja Karamazovy, 1879-1880). Tr. Pina Maiani, Sansoni, 1969.


"Ivàn ad Alëša:
-Nessuna scienza potrà dar loro pane, finché saranno liberi; ma finirà che deporranno la loro libertà ai nostri piedi e ci diranno: -Fateci schiavi ma sfamateci! -. Alla fine lo capiranno da sé, che libertà e pane terreno in abbondanza per tutti sono due cose che non possono stare insieme, perché essi non saranno mai capaci di farsi le parti tra loro! E si convinceranno anche che non potranno mai essere liberi, perché sono deboli, depravati e ribelli. […] Non c'è preoccupazione più continua e più tormentosa per l'uomo, quando è rimasto libero, che quella di trovare al più presto qualcuno davanti a cui inchinarsi. […] Perché la preoccupazione di queste misere creature non è soltanto quella di cercare qualcosa davanti a cui si possa inchinare l'uno o l'altro di loro, ma è appunto quella di trovare qualcosa in cui tutti credano e davanti a cui tutti si inchinino, tutti quanti insieme",
pp. 367-368.


"Dai dialoghi e dai sermoni dello «starec» Zosima.
-Ricordati soprattutto che non puoi essere giudice di nessuno. Perché sulla terra nessuno può giudicare un delinquente, se prima quello stesso uomo che giudica non abbia riconosciuto di essere un delinquente come quello che gli sta davanti, e di essere forse proprio lui il primo colpevole del delitto di quel criminale […] Se poi la cattiveria degli uomini ti riempie di sdegno e di un'amarezza indicibile, fino al punto di farti desiderare la vendetta, temi questo sentimento più di ogni altra cosa; cercati subito una pena, come se tu stesso fossi colpevole della cattiveria umana. Accetta questa pena e sopportala; il tuo cuore si placherà, e capirai che la colpa è anche tua, perché, se tu magari fossi stato l'unico senza peccato, avresti potuto illuminare i cattivi, e invece non l'hai fatto-", pp. 448-459.

"Liza e Alëša:
- Ma perché fare il male?
-Perché non resti più nulla di nulla! Ah, come sarebbe bello se non restasse più nulla! Sentite, Alëša; a volte mi immagino di fare un mucchio di male e di cose brutte, e di continuare così per un pezzo, di nascosto, finché tutti a un tratto lo vengono a sapere. Allora tutti mi si affolleranno intorno e mi indicheranno a dito, e io li guarderò in faccia. È un'idea molto piacevole. Perché è tanto piacevole, Alëša?
-Così. È un bisogno di frantumare le cose buone o, come avete detto prima, di appiccare il fuoco. Anche questo càpita.
[]
-Ci sono dei momenti in cui gli uomini amano il delitto- osservò Alëša pensoso.
- Sì, sì! Voi avete espresso il mio pensiero, amano il delitto, lo amano tutti e, sempre, non solo in «certi momenti»! Sapete, su queto punto sembra che tutti un bel giorno si siano messi d'accordo per mentire, e da allora tutti mentono. Tutti dicono di odiare il male, invece dentro di loro lo amano", p. 809.

"Dmìtrij (Mìtja) ad Alëša:
- Vedi, è un pezzo che volevo dirti molte cose, qui, tra queste mura scalcinate, ma finora non ti ho mai detto la cosa più importante: mi sembrava che ancora non fosse venuto il momento. Ho aspettato proprio quest'ultimo minuto per aprirti la mia anima. Fratello in questi ultimi due mesi ho sentito dentro di me un uomo nuovo, è nato in me un uomo nuovo! Era chiuso qui, dentro di me, ma non sarebbe mai uscito alla luce se non ci fosse stato questo fulmine improvviso. È terribile! E che mi importa se dovrò scavare il minerale nelle miniere con il martello per vent'anni, questo non mi fa nessuna paura, ma un'altra cosa mi spaventa adesso: che quest'uomo nuovo mi abbandoni! […] E sono tanti, sono centinaia, e noi siamo tutti colpevoli, rispondiamo tutti di loro! […] E io andrò là per tutti, perché bisogna pure che qualcuno vada là per tutti. Io non ho ucciso mio padre, ma devo andare. Accetto! […] Oh, sì, saremo in catene, noi non avremo più la libertà, ma proprio allora, nel nostro grande dolore, rinasceremo alla gioia… […] Io adesso sento in me tanta forza che trionferò di tutto, mi sembra, di tutte le sofferenze, purché possa dire a me stesso ogni minuto: esisto!", pp. 821-822.

"-No, no, no! - gridò a un tratto Ivàn. – Non era un sogno! Lui c'era davvero, era seduto là, su quel divano. Quando tu hai bussato alla finestra, gli avevo tirato un bicchiere...eccolo…Aspetta, io ho dormito altre volte, ma questo sogno non è un sogno. Mi è capitato anche altre volte: io adesso, Alesa, faccio certi sogni…ma non sono sogni, sono cose vere, cammino, parlo, vedo…però dormo. Lui era seduto lì, c'era davvero, lì su quel divano…Lui è talmente stupido.,. Alëša, terribilmente stupido! – Ivàn scoppiò a ridere e cominciò a camminare per la stanza.
-Chi è stupido? Di chi parli, fratello? - domandò Alëša di nuovo, in tono angosciato.
-Il diavolo! […] Ma lui non è Satana, mente. È un impostore. Lui è un semplice diavolo, un diavolo insignificante, meschino- ",
p. 903.