
Marguerite Duras, Il viceconsole (Le Vice-Consul, 1966), tr. Angelo Morino, Feltrinelli, 2023.
"«Avrei detto, vedendo la sua espressione prima che parlasse, che aveva negli occhi…che guardava qualcosa che aveva perduto, che lui aveva perduto…di recente…che guardava questa cosa in modo indefinito…un'idea forse, il naufragio di un'idea…Adesso, non so più».
«La sventura fa questo effetto, non credi?».
«Non credo», dice lei, «che quell'uomo sia, figuriamoci, la sventura. Che cosa potrebbe aver perduto senza che ne restasse traccia?».
«Tutto forse?»", p. 102.
"Il parco odora di melma, è sicuramente la bassa marea. Il profumo viscoso degli oleandri e il lezzo insipido della melma, seguendo i movimenti lentissimi nell'aria, si mescolano, si separano", p. 107.
"È la prima volta che vede nascere il giorno qui. In lontananza, palme azzurre. La riva del Gange, i lebbrosi e i cani uniti in un groviglio formano la prima cinta, larga, la prima della città. I morti di fame sono più lontano, nel brulichio denso del nord, formano l'ultima cinta. La luce è crepuscolare, non assomiglia a nessun'altra. In una sofferenza infinita, individuo per individuo, la città si risveglia", p. 109.
"Immensa distesa di acquitrini che mille argini attraversano ovunque. Sugli argini, dappertutto, si sgranano, in fila indiana, rosari di persone dalle mani nude. L'orizzonte è un filo dritto come prima degli alberi o dopo il diluvio. A volte, come altrove, durante le schiarite che succedono ai temporali attraversati, file di palme azzurre si levano sopra l'acqua. Ci sono individui che camminano, portano pacchi, bidoni, bambini oppure non portano nulla", p. 116.
"La pelle del viso è scura, di cuoio, gli occhi stanno in fondo a nidi di rughe di sole. Il cranio è ricoperto di un sudiciume bruno come un casco. Il corpo magro è modellato nel vestito fradicio. Il sorriso senza fine atterrisce", p. 136.