Italo Calvino, il mestiere e l’arte di scrivere: riflessioni, leggendo I Sentieri dei nidi di ragnoSe una notte di inverno un viaggiatore.

Alfonso Falanga, 28 settembre 2023.


Ogni scrittore ha un rapporto, personalissimo, con la sua arte e con l'esercizio dello scrivere. Così come ha un particolare rapporto con i libri quali strumenti di espressione di una interiorità che può manifestarsi, se e quando accade, solo mediante quell'arte.
Se ciò è vero per ogni scrittore, che sia famoso o meno, (escludiamo quelli, famosi o meno, che fanno della loro opera uno strumento per dare spettacolo di se stessi), lo è ancor di più nel caso di Italo Calvino.

Per l'autore, la scrittura è di una dimensione tanto consistente da essere parallela alla vita stessa, quella "vera", quella immediatamente percepibile. In tale prospettiva, il libro diventa la testimonianza di ciò che di questa vita vera non si mostra allo sguardo logico, quello sguardo che si stende solo su ciò che è immediatamente sperimentabile e spiegabile e che resta, poi, cieco di fronte al resto, quel che non appare attraverso forme previste e prevedibili. Il libro, allora, non è un prodotto a sé stante con la funzione di distrarre le persone dalle fatiche a cui la vita vera costringe ma, anzi, dà senso a quella vita, la completa illuminandone le ombre almeno per chi si dispone ad uno sguardo libero dai vincoli della sola razionalità.

Al riguardo, Calvino scrive:
"La lettura e l'esperienza di vita non sono due universi ma uno. Ogni esperienza di vita per essere interpretata chiama certe letture e si fonde con essa", (Italo Calvino, Prefazione, in I Sentieri dei nidi di ragno, -1947-, Mondadori, 2020, p. XV).
Questa riflessione si congiunge con altre dello stesso tenore:
"...ed eccoti lanciato all'inseguimento di queste ombre tutte insieme, quelle dell'immaginazione e quelle della vita", (Italo Calvino, Se una notte di inverno un viaggiatore, Se una notte d'inverno un viaggiatore – 1979-, Mondadori, 2021, p. 49).
"…il libro dovrebbe essere la controparte scritta del mondo non scritto; la sua materia dovrebbe essere ciò che non c'è né potrà esserci se non quando sarà scritto, ma di cui ciò che c'è sente oscuramente il vuoto nella propria incompletezza", (ivi, p. 171).

L'autore mostra la sua capacità di liberare la parola dai limiti del pensiero logico- razionale descrivendo aspetti della realtà tra i più reconditi, quelli che segnano l'incontro tra cose ed eventi esterni e l'interiorità dell'animo umano. Lo fa con un linguaggio particolarmente simbolico ed evocativo ma senza, per questo, arrivare a svalutare la parola, a banalizzarla, a ridurla a semplice segno governato dalla pura fantasia.
Non per questo il rapporto tra l'autore e lo scrivere è fluido e lineare: ciò vale particolarmente per il libro di esordio, che, secondo Calvino, da un lato costituisce il perno dell'intera produzione letteraria-quella ancora di là da venire- e, dall'altro o forse proprio per questo, mette in atto una sorta di espropriazione di pensieri e vissuti che, forse, avrebbero avuto bisogno di restare ancora per un po' celati allo sguardo del lettore. E, forse ancor di più, alla coscienza dello stesso autore.
Ecco cosa afferma al riguardo Calvino:
"Forse, in fondo, il primo libro è il solo che conta, forse bisognerebbe scrivere quello e basta, il grande strappo lo dai solo in quel momento, l'occasione per esprimerti si presenta solo una volta, il nodo che porti dentro o lo sciogli quella volta o mai più" (Italo Calvino, I sentieri dei nidi di ragno, Prefazione, cit., p. XVI).
"Finché il primo libro non è scritto, si possiede quella libertà di cominciare che si può usare una sola volta nella vita, il primo libro ti definisce mentre tu in realtà sei ancora lontano dall'essere definito…", (ivi, p. XXII).

Calvino è tra quegli autori di cui si avverte, leggendoli, la tensione verso il lettore. Cioè si percepisce, nelle sue pagine, la costante presenza, del lettore. Ciò è tanto vero al punto che egli sente quella presenza come qualcosa di invadente e che non si limita a fruire di quel che egli esprime attraverso la narrazione ma se ne impossessa in una sorta di vera e propria espropriazione.
"Sento una folla di lettori che sporgono lo sguardo sopra le mie spalle e s'appropriano delle parole man mano che si depositano sul foglio", (Italo Calvino, Se una notte di inverno un viaggiatore, cit.,p. 170).

Si va oltre: l'autore, infatti, ritiene addirittura se stesso un impedimento ad una scrittura libera ovvero funzionale all'esclusiva espressione di quello che solo la scrittura può mostrare.
"Come scriverei bene se non ci fossi! Se tra il foglio bianco e il ribollire delle parole e delle storie che prendono forma e svaniscono senza che nessuno le scriva non si mettesse di mezzo quello scomodo diaframma che è la mia persona! […] Non è per poter essere il portavoce di qualcosa di definibile che vorrei annullare me stesso. Solo per trasmettere lo scrivibile che attende di essere scritto, il narrabile che nessuno racconta", (cit., p. 170).

Egli si sente d'intralcio alla sua stessa arte: i suoi vissuti e le sue esperienze fanno da ostacolo alla libera espressione proprio di quei vissuti e di quelle esperienze. Anche perché quel che riguarda un singolo è, nell'ottica dell'autore, d'intralcio all'espressione di qualcosa di più vasto e che abbracci l'esperienza di tutti, anche se quel qualcosa resta indefinito, indeterminato. Eppure, soltanto le parole, nonostante i loro limiti, possono mostrarlo.

"Potrò mai dire: «oggi scrive», così come «oggi piove», «oggi fa vento»? Solo quando mi verrà naturale d'usare il verbo scrivere all'impersonale potrò sperare che attraverso di me s'esprima qualcosa di meno limitato che l'individualità d'un singolo […] Solo il poter essere letto da un individuo determinato prova che ciò che è scritto partecipa del potere della scrittura, un potere fondato su qualcosa che va al di là dell'individuo", (cit., p. 175).