
-Jack London, Martin Eden (Martin Eden, 1909*), tr. Giovanni Baldi, Garzanti, 1989.
*pubblicato precedentemente a puntate, sulla rivista Pacific Monthly, da settembre 1908 a settembre 1909.
"...e comunque erano solo idee trovate nei libri, favole che parlavano di un mondo perfetto e impossibile. Ma ora lo aveva visto, questo mondo, possibile e vero, e al centro di questo universo era una donna meravigliosa di nome Ruth...", p. 100.
"Ricordò di avere sempre avuto una segreta vita interiore Aveva cercato di comunicarla ad altri, ma non aveva mai trovato una donna, né un uomo, in grado di comprenderla. A volte aveva fatto il tentativo, ma era solo riuscito a sconcertare coloro che lo ascoltavano. E come i suoi pensieri erano al di là della portata di costoro, così, concluse, egli stesso doveva essere al di sopra di loro", p. 110.
"Giù di sotto dove lui viveva c'era l'ignobile e lui voleva purgarsi dell'ignobile...Per tutta la fanciullezza e la giovinezza era stato tormentato da una cupa inquietudine; non aveva mai capito che cosa desiderasse, ma si trattava di qualcosa che aveva cercato vanamente fino a quando non aveva conosciuto Ruth. Ora la sua irrequietezza era diventata intensa e dolorosa...le cose cui voleva assolutamente arrivare erano la bellezza, l'intelletto e l'amore", p.126.
"La ragazza aveva quella diffusa chiusura mentale dalla quale tutte le creature umane sono indotte a credere che la propria razza, la propria fede religiosa e le proprie idee politiche sono le migliori...", pp. 134-135.
"Oh, se avesse potuto pronunciare parole solenni che le facessero vedere quel che lui vedeva!...Adesso capiva! Ecco in cosa erano grandi gli scrittori e i poeti sommi. Ecco perché erano giganti: perché sapevano esprimere ciò che pensavano e sentivano e vedevano", p. 150.
"Era in grado di percepire l'inafferrabile spirito della poesia, cercava di inseguirlo ma non era capace di raggiungerlo...", p. 152.
"Egli sentiva quali fossero le tensioni e i palpiti della vita, i suoi deliri e i suoi sudori, i suoi soprassalti selvaggi: queste erano le cose di cui scrivere", p. 180.
"I santi del cielo-che altro potevano essere se non pii e immacolati? Che meriti avevano? Ma i santi dell'abisso- quelli sì che erano fonti di eterna ammirazione! Vedere la grandezza morale levarsi dalle sentine dell'iniquità; rizzare noi stessi il capo e scorgere per la prima volta la bellezza remota e indistinta con occhi grondanti di melma...", 188.
"Nel cervello non c'era più posto per i grandi problemi universali dell'uomo. Tutte le vie di accesso alla mente erano sbarrate e chiuse ermeticamente. La camera di risonanza dell'anima era ridotta a un angolo striminzito, a una torre di comando che muoveva i muscoli delle braccia, le spalle e le dieci agili dita...", p. 213.
"Aveva ribrezzo per se stesso, come se avesse vissuto un'esperienza degradante o commesso un atto infame. Ogni palpito divino era scomparso in lui. Insensibile al pungolo dell'ambizione aveva perso la vitalità che potesse risvegliarlo. Era morto. L'anima sua era morta. Non era che un animale, una bestia da soma...La vita era tetra e stupida e lasciava in bocca un sapore amaro", p. 217.
"Analogamente raccoglieva elenchi di frasi vigorose, frasi della lingua viva che corrodevano come un acido e bruciavano come il fuoco...nell'arido deserto del linguaggio comune", p. 262.
"La disumana macchina editoriale continuava a funzionare con perfetta regolarità...Era certo che all'altra estremità non vi fossero sulle poltrone degli esseri umani, ma solo ruote e ingranaggi ben oliati-perfetti meccanismi manovrati da automi", p. 266.
"Giacché, in fondo, non aveva mai trovato la sua vera collocazione. Si era adattato a tutti i luoghi in cui era capitato...Ma non aveva mai messo radici...Era sempre stato percorso da un senso di irrequietezza, aveva sempre sentito il richiamo di qualcosa che veniva da lontano e aveva continuato a viaggiare e a cercarlo fino a quando non aveva trovato i libri, l'arte e l'amore", p. 306.
"L'investiva con forza, un'ondata dopo l'altra, e proprio quando le due volontà cozzavano con più violenza lei si sentiva irresistibilmente attratta da lui...E in quel momento, per un istante, Ruth si accorse che la propria certezza si era spaccata, aprendo un varco attraverso il quale scorse il vero Martin Eden...dubitò per un attimo di riuscir mai a piegare ai propri poteri il selvaggio spirito di quell'uomo", p. 342.
"Alzò gli occhi su Ruth alla ricerca di qualcosa che lo rassicurasse proprio come un passeggero colto da un improvviso panico al pensiero di un possibile naufragio, gira lo sguardo per individuare dove si trovino i salvagenti", p. 394.
"Non era sorprendente che il mondo fosse dei forti, considerando quanto gli oppressi amassero le catene che li tenevano in servitù", p. 414.
"Le migliaia di libri che aveva letto avevano scavato fra loro un abisso. Si era condannato all'esilio. Il viaggio nel regno dell''intelletto lo aveva portato così in là che il ritorno gli era impossibile", p. 440.