L’assurdo e la quotidianità. Un esempio: La Metamorfosi di Kafka.
Alfonso Falanga, 23.03.2023.

"Proprio i poeti e gli scrittori, però, ci hanno in più occasioni avvertito che ritenere l'assurdo qualcosa che sia destinato indefinitamente al di fuori della quotidianità resta esclusivamente un nostro pio desiderio – legittimo quanto si vuole eppure sempre e solo un desiderio – e non certo una possibilità concretamente traducibile in realtà".
Sono tempi assurdi: con quest'espressione si intende, in genere, che si sta vivendo in un tempo in cui eventi, che si riteneva mai potessero accadere, invece accadono, eccome! Vicende da cui ci si sente fortemente condizionati e sui quali non si ha alcun potere di controllo. Avviene oggi, così come è stato anche in passato.
Ma si sa, il peso su di noi delle crisi attuali ce le fa sentire uniche e speciali. Noi medesimi diventiamo, ai nostri stessi occhi, dei privilegiati all'incontrario: la percezione è che l'inquietante che si verifica oggi non sia mai successo in passato e, così, l'ansia per il presente e per il futuro offusca sensibilmente la visione storica dell'esistenza.
In quest'ottica, l'assurdo è quel fatto indesiderato e imprevisto, fuori da ogni logica e, dunque, estraneo al normale fluire degli eventi. L'assurdo è inteso come una sorta di inciampo nel procedere naturale dell'individuo verso la realizzazione del senso della propria esistenza, della perfezione, della felicità.
Il tema è centrale nella filosofia, nell'arte, nella letteratura.
Proprio i poeti e gli scrittori, però, ci hanno in più occasioni avvertito che ritenere l'assurdo qualcosa che sia destinato indefinitamente al di fuori della quotidianità resta esclusivamente un nostro pio desiderio – legittimo quanto si vuole eppure sempre e solo un desiderio – e non certo una possibilità concretamente traducibile in realtà.
Tra gli autori che più di altri hanno posto un accento particolare su quest'argomento si colloca certamente Franz Kafka. Non c'è lavoro dello scrittore praghese in cui non sia presente quell'inciampo, così evidente, solo per citare alcune tra le sue opere più note, in Il Castello (1925) e Il Processo (1926).
In entrambi i testi, l'assurdo include un mondo verso cui ogni tentativo del protagonista di mostrare la propria identità e la propria essenza di individuo è destinato, miseramente e tragicamente, a fallire. È un mondo con cui il dialogo è impossibile data la ragnatela di pregiudizi, distorsioni e condanne a priori che lo contraddistingue e che risulta tanto fitta che mai la verità potrà attraversarla.
Ne Il Processo la verità di Josef K. è la sua estraneità a ogni reato e a qualsivoglia colpa se non quella di esistere, di possedere una identità di individuo e di cittadino. Eppure, nonostante l'evidenza della sua innocenza, basta la diceria di una sconosciuta per destinarlo all'arresto e al processo.
"Qualcuno doveva averlo calunniato, perché senza che avesse fatto nulla di male, una mattina Josef K. fu arrestato", (Franz Kafka, Il Processo, Adelphi, 1978, p. 3).
Con queste poche parole, semplici quanto assurde, ha inizio il viaggio di Josef tra le ragnatele della incomunicabilità.

Ne Il Castello, la verità di K. consiste nel suo essere un agrimensore a cui è stato commissionato un unico e ben preciso compito. Anche in tal caso la verità, nonostante la sua trasparenza, non viene riconosciuta dalle autorità del Castello: K. è costretto a subire una sorta di processo in cui la sua identità, e il ruolo a cui è stato in origine designato, risultano una colpa. È un processo in cui egli deve dimostrare quel che non avrebbe bisogno di alcuna dimostrazione. Ma proprio l'indimostrabilità dell'evidenza- dare prova di quel che è alla luce del sole è infatti impossibile, è una contraddizione in termini- colloca K. in un limbo in cui la sua identità e la sua stessa vita perdono ogni consistenza: nel Castello, più che mai, una sola lettera, K appunto, è sufficiente a fargli da nome e a rappresentare, così, l'indefinibilità della sua persona.
"-Sicché il risultato a cui siamo giunti-disse K.- è che tutto è confuso e insolubile, salvo la mia espulsione-
-Ma chi oserebbe espellerla, signor agrimensore? - disse il sindaco-Appunto la poca chiarezza delle questioni preliminari garantisce il trattamento più cortese; lei però, a parer mio, è troppo suscettibile. Nessuno vuole trattenerla qui, ma questo non vuol dire neppure che si voglia cacciarla via", (Franz Kafka, Il Castello, tr. Anita Rho, Mondadori, 1972, p. 105).
"Nessuno tra loro si chiede come mai la trasformazione di Gregor in un orripilante animale sia potuta accadere e quale rimedio si possa tentare per riportare il malcapitato alla condizione di essere umano".
Un'altra espressione altrettanto significativa della dimestichezza dell'autore con l'assurdo è La metamorfosi (1915).
Anche in questo racconto l'imprevisto e l'incomprensibile fa il suo ingresso fin dalle prime righe.
"Destandosi un mattino da sonni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto" (Franz Kafka, La metamorfosi, in I Racconti, tr. di Giulio Schiavoni, BUR Rizzoli, 2019, p. 124).
Non ci sono spiegazioni al riguardo e né Gregor né i suoi familiari, o il signor Procuratore quando lo raggiunge per lamentarsi del suo ritardo, si fanno domande in proposito. Nessuno tra loro si chiede come mai la trasformazione di Gregor in un orripilante animale sia potuta accadere e quale rimedio si possa tentare per riportare il malcapitato alla condizione di essere umano. Certo, la madre e la sorella si dispiacciono (come se il giovane fosse stato colpito da una malattia che, pur se grave, sia comunque riconducibile alla normalità e alla prevedibilità dell'esistenza). Certo, sperano che quel mostro, su cui-tranne Grete, la sorella- tutti evitano di poggiare lo sguardo, possa prima o poi possa subire una seconda metamorfosi che ne ripristini le sembianze umane, ma nulla più. Sperano, appunto, ma non agiscono se non attraverso gesti – ad esempio come riorganizzare la camera di Gregor in funzione del fatto che, da quel momento in poi, sarà un enorme e disgustoso insetto ad abitarla – che finiscono per confermare la nuova condizione di Gregor, quella di uno smisurato scarafaggio.
Lo stesso protagonista è sì incredulo eppure non si dispera. Dal momento suo risveglio le sue giornate saranno dedicate alla elaborazione di tutti i modi possibili per adattarsi alla sua nuova realtà: trovare come scendere dal letto, da insetto e non più da essere umano "… con tutte quelle sue gambette che si agitavano senza tregua e nei modi più svariati" ( cit., p. 128), come muoversi in quello spazio che, fino a poche ore prima, gli era così abituale, come comunicare con i familiari: Gregor comprende che quel che immagina di dire ai suoi, quelle parole ancora strutturate da umano nella sua mente, non arrivano all'esterno che sotto forma di indecifrabile sibilo, proprio come quello di un insetto.
"Dunque, gli altri non intendevano più le sue parole, benché a lui fossero chiare, anzi più chiare di prima…" (cit., p. 135).
Non ci riuscirà, mettendo a repentaglio così la
sua stessa sopravvivenza: non sarà in grado, infatti, di far capire ai suoi che
il cibo che gli passano andrebbe bene per Gregor uomo ma è del tutto immangiabile per
Gregor insetto (solo Grete avrà una intuizione in proposito).
Così come non ha potuto chiarire al signor Procuratore che il suo non è un ritardo voluto e che non è il segnale di una sua disaffezione verso l'azienda per cui lavora. Lo afferma con forza e convinzione, ma niente arriva all'esterno. I suoni che emette per chi lo ascolta al di là della porta della sua stanza risultano così incomprensibili e ingiustificati al punto che il funzionario sospetta che egli lo faccia apposta, che voglia prenderlo in giro. È la reazione del Procuratore a gettare nel panico la madre, che, solo a quel punto, intima a Grete di correre a chiamare un medico: "Devi correre immediatamente dal medico. Gregor è malato. Dal medico, su presto! Lo hai sentito, no, come parla Gregor?" (cit. p. 134) (la ragazza non si precipiterà da alcun medico, forse intuendo che la disperazione della madre non nasce dalla preoccupazione per il figlio ma solo dall'eventualità che il Procuratore possa sentirsi offeso: dunque bisogna evidenziargli che quel sibilo incomprensibile non è una presa in giro nei suoi riguardi bensì "solo" un sintomo della malattia di Gregor).
Anche Gregor si preoccupa di come il funzionario interpreti l'accaduto, se e come la sua metamorfosi possa influire sulla tenuta del suo
posto di lavoro. Insomma Gregor si agita per qualcosa che appartiene alla
sua vita passata, quella di uomo, invece che arrabbiarsi, disperarsi,
angosciarsi per la nuova – questa sì, incomprensibile e ingiustificata – dimensione
in cui chissà cosa e chissà chi lo ha destinato. Lo ha condannato.
La metamorfosi include tutti i temi, e tutti insieme, della visione kafkiana dell'uomo e dell'esistenza. Tra questi emerge quello dell'incomunicabilità: tra individui e tra individuo singolo e apparato burocratico, così come l'incomunicabilità all'interno del nucleo familiare (tra padre e figlio, particolarmente).
Poi c'è la colpa: una colpa attribuita senza che nulla sia stato fatto per meritarla. Una colpa metafisica, che avvolge nella sua totalità l'individuo, che si stende sulla sua storia personale e collettiva, che non ha alcun riferimento specifico se non, appunto, l'individuo stesso. E c'è il giudizio, che segue la inesorabile dichiarazione di colpevolezza da parte dell'Apparato, della collettività, dell'autorità familiare, della Storia.
L'assurdo, poi.
Ciò che emerge ne La metamorfosi forse più che in altre opere, è che l'assurdo non si riferisce solo all'evento (nella fattispecie, la trasformazione in insetto) ma alla reazione dei protagonisti, proprio a partire da chi subisce più di tutti l'effetto dell'evento. È assurda sì la trasformazione di Gregor in scarafaggio ma sono ancora più assurde le risposte che egli, e chi gli sta vicino, danno ad essa.
Gregor Samsa esprime una complessità simbolica e una molteplicità di significati (esistenziale, autobiografico, storico, sociale, psicologico) che, al pari dei grandi personaggi della letteratura, lo destina a staccarsi dall'autore per assumere una vita propria. Come accade con le grandi opere e i grandi scrittori, alla fine l'autore finisce con l'essere "semplicemente" il pretesto affinché il personaggio possa mostrarsi ed esistere.
Anche la sua morte, logica conseguenza – il solo elemento logico in
tutta l'opera –della condizione di enorme insetto costretto a vivere in un
ambiente non conforme alle sue esigenze vitali, costituisce
un ulteriore elemento simbolico, forse il più significativo: la morte, non solo
del corpo ma intesa come spegnimento progressivo delle facoltà intellettive
(Gregor crede di parlare ma non sa più parlare, giusto per fare un esempio) è l'inevitabile
destino di chi, di fronte all'assurdo, assume un atteggiamento di accettazione
passiva, di rinuncia, di giustificazione ("non è colpa di Gregor, signor Procuratore,
è colpa della malattia", sembra dire la madre), dunque un atteggiamento ancora
più assurdo dell'assurdo stesso.