L’esistenzialismo quotidiano di Don DeLillo: una riflessione su “L’uomo che cade”.

Alfonso Falanga, 5 novembre 2022


   Nei romanzi di Don DeLillo ogni vicenda, piccola o grande che sia, ha un senso. Nulla è scontato, banale, passeggero. Qualsiasi accadimento lascia un segno in chi ne è protagonista e anche in chi non lo vive direttamente e ne avverte solo l'eco. Figuriamoci poi quando si tratta di un evento straordinario e devastante emotivamente, psicologicamente, fisicamente.
Siamo nell'immediato post-11 settembre, infatti: è questo lo scenario in cui si muovono i due principali protagonisti, Keith e Lianne, di L'uomo che cade (Don DeLillo, L'uomo che cade- Falling Man, 2007-, tr. Matteo Colombo, Einaudi, 2017).
   Keith e Lianne sono persone semplici. Tali anche se non prive di contraddizioni, di pensieri e sentimenti contrastanti. Eppure, restano esseri semplici, in cui la pur consistente incoerenza trattiene una  quota di comprensibilità e di prevedibilità. Se Keith e Lianne, poi, risultano speciali, ciò dipende dal fatto che si trovano a fare i conti con fenomeni epocali che si traducono in fatti minori, tali solo rispetto allo sconvolgimento procurato dall'episodio intorno a cui ruota il romanzo. Fatti minori eppure ricchi di immagini e ricordi che si concretizzano in gesti, sguardi, atteggiamenti, parole. Atti quotidiani, quasi banali, prevedibili ma che decidono le scelte che la persona, poi, farà semmai immaginandosi autonoma. Credendosi libera da ogni costrizione. Percependosi, seppur confusamente, dotata di libero arbitrio. Per poi accorgersi, o quantomeno sospettare, che invece sono gli avvenimenti a scandire le fasi della sua esistenza dilatando, o restringendo, la percezione del tempo.
Gli eventi quelli sì che sono autonomi rispetto all'uomo. Al riguardo, l'autore avverte il lettore fin dalle prime pagine:
"C'era una qualche mancanza cruciale nelle cose intorno a lui. Erano incompiute, per così dire. Erano inosservate, per così dire. Forse era quello l'aspetto che avevano le cose quando non c'era nessuno che le vedesse" (cit., p. 7).

   I personaggi di DeLillo, di fronte ai cataclismi, si impegnano a recuperare la loro semplicità. Keith e Lianne, ognuno a modo suo, provano a ricucire il loro rapporto di coppia così come il contatto con se stessi. A ridurre, quindi, quelle fratture relazionali ed emotive generate, tra loro e in loro, dai due aerei che si sono schiantati sulle Torri. E nel farlo, si scoprono più complessi di quanto siano capaci di tollerare.
   La ricerca della semplicità mette a nudo, loro malgrado, una complessità che, fino ad allora, era rimasta silente. Una complessità che ha a che fare con la morte. Con la paura della morte.

   Emerge in L'uomo che cade, pagina dopo pagina, una sorta di filosofia esistenziale che non resta ancorata a schemi mentali e confronti verbali tra i personaggi, ma che si declina in atti quotidiani che mettono a nudo la precarietà di chi quei gesti li compie. Si tratta di una precarietà esistenziale, quella per cui sono i fatti a esserci. Le persone, invece, sono di passaggio.
"Le loro parole, quelle fra loro due, erano poco più che suoni, flussi di fiato informe, corpi che parlavano", p. 214.

   Lo scopo di questi gesti quotidiani consiste, in sintesi, nel tentativo, convinto e strenuo, di dare senso alla morte, di non ridurla a ciò che, di fatto, essa è: una "semplice" fine.
   I personaggi di DeLillo si proteggono dalla paura della morte inquadrandola in un contesto di normalità ( viene da pensare a Jack di Rumore bianco) il che risulta subito impossibile. Niente è così inimmaginabile come attribuire alla morte una patente di normalità. Di accettabilità. Allora si finisce, paradossalmente, a combattere la paura alimentandola.
Si può non avere paura, insomma, dotandosi di una paura ancora più grande. O abbracciando una fede che però diventa, anch'essa, subito una ulteriore minaccia al senso di integrità personale e all'illusione di avere il controllo della propria vita.
   La sola strada percorribile per restare minimamente padroni di se stessi, sembrano affermare i personaggi di De Lillo, è opporsi proprio a ciò a cui si è scelto di credere. E farlo in tempo, prima che la stessa fede offuschi del tutto ragione e capacità decisionale.
   "Dio l'avrebbe consumata. Dio l'avrebbe de-creata e lei era troppo piccola e docile per opporre resistenza. Ecco perché ci pensava adesso a opporre resistenza. Perché se ci rifletti. Perché una volta che cominci a credere in una cosa del genere, Dio è, poi come fai a sfuggirle, come puoi sopravvivere al suo potere, è ed era e sempre sarà", p. 239.