La mentalità da supermercato come effetto del disincanto post-pandemico.
Alfonso Falanga, 8 febbraio 2023.

"...un modo di relazionarsi che poggia su una consistente distanza emotiva rispetto al prodotto che si sta vendendo, in quel momento, a quel cliente: ovvero non si sa cosa sia quel che si sta vendendo, non si ha interesse a saperlo, non si è contribuito minimamente alla sua creazione".
Già
da qualche tempo la stampa specializzata avverte che il mondo delle aziende, a
livello globale, è interessato da quel fenomeno definito great resignation
ovvero l'aumento progressivo della quota di lavoratori che, volontariamente, abbandona
il proprio impiego. Alle
dimissioni, tra l'altro, non necessariamente segue una ricollocazione su posizioni
professionalmente e rimunerativamente più interessanti. Anzi.
Qui non stiamo a riflettere sul perché di tale fenomeno. È ipotizzabile, comunque, che una sua causa sia il disincanto rispetto alla possibilità concreta di decidere della propria vita. Si tratta, in sostanza, di quel margine d'azione di cui la pandemia ha mostrato, bruscamente, i limiti. E che il senso di precarietà dovuto agli attuali scenari geopolitici, attraversati da guerre e tensioni, certo non contribuisce ad ampliare.
È pur vero che non dovrebbe esserci bisogno che accadano pandemie e guerre per ricordarci che le nostre scelte devono sempre e comunque confrontarsi con una serie di variabili, materiali e immateriali, su cui non abbiamo alcun potere di intervento. Che ci piaccia o no. Che ci crediamo o no.
Il fatto è che, negli ultimi decenni, il mondo delle professioni - dei giovani professionisti, particolarmente - è stato oggetto di una ben confezionata fuffa motivazionale che ha contribuito ad alimentare l'illusione di possedere, riguardo alle proprie scelte, un potere d'azione ampio, molto ampio, sconfinato. Dove l'unico limite era collocato in se stessi. Dunque, si trattava un limite superabile, bastava volerlo: era sufficiente seguire il dogma "Volere è potere" e i suoi corollari "Se vuoi puoi", "Insegui i tuoi sogni", "Se fai un lavoro che ti piace non lavorerai un solo giorno" e simili.
Tornando all'argomento in questione, è certo che non tutti possono permettersi di abbandonare volontariamente il proprio impiego in un momento, tra l'altro, in cui quello stesso impiego è, forse, già in bilico di suo.
Non tutti, poi, hanno competenze da spendere nel mercato del lavoro: non tutti, insomma, se abbandonano l'attuale posizione hanno modo di ricollocarsi anche a livelli, professionalmente e in quanto a busta paga, inferiori.
Se la great resignation, per quanto estesa, perciò non è ancora un fenomeno pervasivo, si sta invece diffondendo - proprio lì dove non è praticabile l'abbandono volontario del posto di lavoro- un'altra espressione di quel disincanto a cui si è fatto cenno e cioè quella che definisco la mentalità da supermercato.
Premessa political correct: non uso il termine supermercato in senso svalutativo bensì solo per indicare, consapevole che comunque si tratta di una generalizzazione, un atteggiamento specifico nel rapporto con il cliente. Intendo un modo di relazionarsi che poggia su una consistente distanza emotiva rispetto al prodotto che si sta vendendo, in quel momento, a quel cliente: ovvero non si sa cosa sia quel che si sta vendendo, non si ha interesse a saperlo, non si è contribuito minimamente alla sua creazione.
A questo, si aggiunge una sorta di indifferenza (a volte anche arroganza) verso il cliente stesso, come se quel cliente non possa fare a meno di acquistare quel prodotto e farlo proprio lì, in quel momento. Insomma, si agisce come se si detenesse il monopolio della merce (prodotto o servizio) esposta al cliente.
Si tratta di una modalità che, forse, può funzionare, appunto, al supermercato e comunque per quel che riguarda i beni di prima necessità. Quelli che, bene o male, si è costretti ad acquistare ai fini della sopravvivenza fisica. Certo è che questo stesso atteggiamento, in altri ambiti commerciali e professionali, non ha alcun fondamento né di mercato né tantomeno etici.
Eppure, è un approccio che si sta progressivamente estendendo a diverse categorie professionali. Non è questione di maleducazione ma di indifferenza e di insofferenza verso il lavoro che si sta svolgendo e verso il cliente, che si sente (lo è, di fatto) una pratica da sbrigare e pure in fretta.
Quali saranno le conseguenze? Difficile prevederlo. Certo è che, a medio termine, ce ne saranno. E non piacevoli, particolarmente per i disincantati.