Alessandro Baricco, La sposa giovane, Feltrinelli, Milano, 2015.
"Ma erano così, ignoravano la successione dei giorni, perché miravano a viverne uno solo, perfetto, ripetuto all'infinito: quindi il tempo era per loro un fenomeno dai contorni labili che risuonava nella loro vita come una lingua straniera", p. 10.
"…e questo perché avrei dovuto spiegare come tutto quello che scriviamo c'entra naturalmente con cosa siamo o siamo stati, ma per quanto mi riguarda non ho mai pensato che il mestiere di scrivere si possa risolvere nel confezionare in modo letterario gli affari propri, col penoso stratagemma di modificare i nomi e talvolta la sequenza di fatti, quando invece il senso più giusto di quello che possiamo fare mi è sempre parso mettere tra la nostra vita e quel che scriviamo una distanza magnifica che, prima prodotta dall'immaginazione e poi colmata dal mestiere e dalla dedizione, ci porta in un altrove dove risultano mondi, prima inesistenti, in cui quanto c'è di intimamente nostro, inconfessabilmente nostro, torna ad esistere, ma a noi quasi ignoto, e toccato dalla grazia di forme delicatissime, come di fossili o farfalle", p. 40.
"…allora in ogni strisciare delle piume gialle sull'acqua si offriva lo spettacolo della Creazione. Oppure, volendo, il magico rovescio di una Creazione mai accaduta, cioè un dettaglio sfuggito all'altrimenti casuale genesi delle cose, un'eccezione al disordine e all'insensatezza del tutto. In ogni caso, un miracolo", p. 76.
"E in effetti accade, in momenti come quelli, quando siamo chiamati a sostenere pene segrete, o non facilmente enunciabili, che siano personaggi secondari, di programmatica modestia, a spezzare di tanto in tanto l'isolamento a cui siamo costretti, col risultato di trovarci, come mi è accaduto solo qualche giorno fa, a concedere a sconosciuti l'ingresso illogico nel nostro labirinto, nell'infantile illusione di poterne trarre un suggerimento o un vantaggio, o anche solo un lenimento passeggero", p. 81.
"Mi tenevano sveglia gli scossoni del treno e il dubbio che un'infamia definitiva si fosse riversata, tutta in un giorno, nel cavo della mia vita, come una tazza che adesso sembrava impossibile svuotare: a malapena riuscivo a inclinarla quel tanto che bastava per vedere colare dai bordi il liquido opaco della vergogna-lo sentivo scorrere lento, senza sapere cosa pensare", p. 112.
