La trappola del buon esempio: a volte fuorviante, sempre colpevolizzante.

Alfonso Falanga, 9 dicembre 2022



"Ma ciò che più conta è che in questo modo, come accade in tutti i bei discorsi sulla motivazione, si finisce per colpevolizzare chi non ce l'ha fatto nonostante l'impegno e la buona volontà". 


È frequente, particolarmente nelle professioni, riferirsi a storie di successo come stimoli motivanti. Non ne parliamo della profusione dei libri al riguardo e, manco a dirlo, della pletora dei post sui social sul medesimo tema. Si descrive (sinteticamente, parzialmente, come è inevitabile che sia) con enfasi le vicissitudini della donna o dell'uomo che ce l'hanno fatta contro ogni previsione e vincendo ogni genere di avversità. Tutto ciò grazie a impegno, volontà, motivazione, passione e tante altre belle e buone qualità personali che, in base al motto "volere è potere", contribuiscono, in quest'ottica, sempre e comunque alla realizzazione dei proprio obiettivi.

Eppure, è, questa, una procedura tanto fuorviante quanto colpevolizzante.

Tale affermazione nulla vuole negare al merito di coloro che sono assunti come esempio ("merito", un termine oggi particolarmente discusso e, per alcuni, controverso. Qui ci asteniamo da ogni giudizio al riguardo, essendo il tema complesso e delicato e degno di più spazio e attenzione). Niente toglie al valore dell'impegno e della buona volontà, quello di coloro presi ad esempio e in generale.


Il fatto è che, attraverso l'enfasi sul successo ottenuto grazie al "crederci" e al "non mollare mai", si rischia di svalutare:

  • il ruolo, in ogni impresa portata a compimento e in ogni lavoro ben fatto, del metodo, dello studio, della scelta strategica, della teoria come sostegno alla pratica e come anticipazione delle criticità insite nel percorso che si intende intraprendere;
  • l'importanza di avere ben chiaro in mente l'obiettivo che si vuole perseguire, ovvero quanto sia esso legittimo in base alle risorse materiali e immateriali di cui si dispone e in riferimento al contesto (sociale, economico, culturale, relazionale) in cui si agisce e si agirà;
  • l'urgenza, perciò, di avere consapevolezza della qualità e della quantità di tali risorse e del già menzionato contesto;
  • il ruolo del caso (che lo si intenda come fortuna, destino, Provvidenza è lo stesso). La casualità esiste. Proprio per questo, per non lasciare che abbia il sopravvento, è opportuno dotarsi di metodo e strategia. Che restano, comunque, fortemente soggette alla stessa casualità, particolarmente in un mondo in accelerazione e, dunque, rapidamente mutevole a volte in modo imprevedibile.

Senza contare quanto giochi, nel prendere come esempio chi ce l'ha fatta, il cosiddetto bias della sopravvivenza.

Ma ciò che più conta è che in questo modo, come accade in tutti i bei discorsi sulla motivazione, si finisce per colpevolizzare chi non ce l'ha fatto nonostante l'impegno e la buona volontà. Che sono tanti. Perché la realtà è molto più composita rispetto alla schematizzazione "impegnati e ce la farai".



Non finirò mai di insistere sul fatto che lo slogan "volere è potere" ha creato danni nelle professioni così come in altri contesti (ad esempio, nei giovani per quel che riguarda nella scelta degli studi da intraprendere). E come oggi, quando individuare la strategia giusta da seguire è ancora più necessario che in passato, ogni discorso motivazionale sia veramente da evitare.