La trappola del “volere è potere”: una porta spalancata verso un senso di fallimento.

Alfonso Falanga, 2 dicembre 2022.



"Mai come in questo particolare periodo storico le circostanze esterne hanno assunto un ruolo rilevante nel favorire o meno la realizzazione dei nostri scopi. Gli eventi di cui siamo protagonisti, per alcuni versi, e testimoni, per altri, evidenziano come il contesto in cui agiamo e lavoriamo sia una variabile determinante per i nostri successi o fallimenti. Un contesto sulla cui evoluzione, o involuzione, spesso abbiamo ben poco potere di intervento".


Quando non riusciamo realizzare i nostri obiettivi ci chiediamo, di solito, se abbiamo fatto tutto quel che c'era da fare e se l'abbiamo fatto bene.

In alcuni casi sentiamo fin troppo il peso della nostra responsabilità riguardo all'evento indesiderato.

In altri, proprio per alleggerire questo carico emotivo, cerchiamo le ragioni esterne al fallimento. Ovvero, dedichiamo tempo ed energie a stabilire quanto l'insuccesso non sia dipeso dalla nostra volontà e dalle nostre capacità.

Non sempre è agevole distinguere tra loro le due dimensioni e bilanciarle senza scivolare o in una eccessiva responsabilizzazione, che diventa un logorante "senso di colpa", oppure in una inopportuna de-responsabilizzazione che non consente di prendere consapevolezza dei fatti e trovare ad essi rimedio.

Nella prima circostanza rischiamo di rinunciare ritenendoci, senza prove, inadatti allo scopo.

Nella seconda, siamo portati a procedere sempre secondo i nostri schemi standard e, dunque, a perseverare nell'errore. Alla fine, così facendo, sbagliamo sempre di più e meglio.

In entrambe le circostanze ci impediamo di crescere.

La capacità di distinguere l'interno dall'esterno, e di intervenire su quanto è effettivamente esito del nostro comportamento, dipende in buona misura dai valori e dalle convinzioni che ci guidano in genere e, in modo specifico, nella particolare attività in cui si è verificato l'evento indesiderato: qui ci riferiamo alla sfera professionale.


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A tal proposito varrebbe la pena riflettere su quanto i fumosi slogan motivazionali abbiano prodotto più danni che vantaggi, alimentando, in caso di obiettivo mancato o comunque di performance insoddisfacente, frustrazioni e demotivazioni, sensi di colpa e rinunce. È il caso, ad esempio, del ben noto "volere è potere".

Mai come in questo particolare periodo storico le circostanze esterne hanno assunto un ruolo rilevante nel favorire o meno la realizzazione dei nostri scopi. Gli eventi di cui siamo protagonisti, per alcuni versi, e testimoni, per altri, evidenziano come il contesto in cui agiamo e lavoriamo sia una variabile determinante per i nostri successi o fallimenti. Un contesto sulla cui evoluzione, o involuzione, spesso abbiamo ben poco potere di intervento.

In tal senso, perciò, fattori quali la volontà, la motivazione, il "crederci" non perdono certo il loro valore ma non possono essere considerate le variabili privilegiate nella riuscita di una performance.

Il "volere è potere", in modo specifico, va misurato con i fatti. È sempre stato così, in effetti. Oggi lo è più che mai.


Queste affermazioni non preludono ad alcuna generica recriminazione verso il destino avverso o verso la società ingiusta, né vogliono significare una altrettanto generica assoluzione verso se stessi. Si tratta, invece, in un momento storico-sociale particolarmente significativo, dell'invito ad orientare le energie- chiamiamole pure, se ci piace, volontà, motivazione, passione, ecc. - verso mete legittime ovvero coerenti con le risorse materiali e immateriali di cui si dispone. È una sollecitazione a tenere conto del contesto per trarne i segnali utili a programmare.

La programmazione non legge il futuro né lo anticipa. La programmazione vuol dire muoversi nel contesto di riferimento senza procedere alla cieca. È tutt'altro che rinunciare. È tutt'altro che affidarsi alla volontà il che, quando la volontà viene svincolata da ogni legame con la realtà, è come affidarsi al destino o comunque a una entità indefinita.

Insistere sul "volere è potere", in questa prospettiva, diventa una sorta di alibi che finisce con il giustificare l'insuccesso oppure, centrando tutto su se stessi, rischia di produrre senso di colpa, di fallimento e di rinuncia.

La volontà, in quest'ottica, invece che spinta in avanti diventa un alibi bloccante.