Sándor Márai (1900-1989),

Le braci (A gyertyák csonkig égnek, 1942), tr. Marinella D'Alessandro, Adelphi, 2008.


"Rimasero in silenzio per un po', contemplando la scena dinanzi a loro, l'ampia sala da ricevimento, i mobili grandi e massicci che custodivano il ricordo, il significato di un'ora, o solo di un attimo, come se in precedenza si fossero limitati a esistere, secondo le leggi dei tessuti, dei legni e dei metalli, finché era arrivato un istante, quarantun anni prima, che aveva infuso in essi un soffio di vita e dato un senso alla loro esistenza. E adesso tornavano a vivere, come un meccanismo dopo la carica, e anch'essi sembravano animarsi al ricordo", p. 65.
"Alle domande più importanti si finisce sempre per rispondere con l'intera esistenza. Non ha importanza quello che si dice nel frattempo, in quali termini e con quali argomenti ci si difende. Alla fine, alla fine di tutto, è con i fatti della propria vita che si risponde agli interrogativi che il mondo ci rivolge con tanta insistenza", p. 101.
"Era l'istante in cui la notte si separa dal giorno, e il mondo di sotto da quello di sopra. E forse ci sono altre cose che si separano. L'istante in cui la profondità e l'altezza, la luce e l'oscurità, si toccano ancora nel mondo e nell'animo umano, in cui i dormienti si svegliano di soprassalto dai loro sogni pesanti e tormentosi, e gli ammalati sospirano profondamente perché avvertono che l'inferno della notte è terminato e sta per cedere il posto a una sofferenza più articolata. Il giorno, con la sua luce e le sue regole, districa e ricompone tutto ciò che nell'oscuro caos della notte era apparso come desiderio convulso, assillo segreto, passione delirante. I cacciatori e la selvaggina amano quell'istante. Non è più notte e non è ancora giorno. Il profumo della foresta si fa aspro e selvaggio come se tutti gli organismi viventi cominciassero a destarsi nel grande dormitorio del mondo, come se tutti, le piante e le bestie e anche gli esseri umani, esalassero i loro segreti e i loro sospiri. Si alza il vento, lieve come il sospiro di chi, risvegliandosi, si ricorda del mondo in cui è nato", p. 109.


"Perché la passione non si piega alle leggi della ragione, non si cura minimamente di quello che riceverà in cambio, vuole esprimersi fino in fondo, imporre la sua volontà, anche se in cambio non ottiene altro che sentimenti mansueti, amicizia e indulgenza. Ogni vera passione è senza speranza, altrimenti non sarebbe una passione, ma un semplice patto, un accordo ragionevole, uno scambio di banali interessi", p. 111.
"Si, le parole ritornano. Tutto ritorna, le cose e le parole girano in cerchio, talvolta fanno il giro del mondo, poi un bel giorno si incontrano, si riuniscono e il cerchio si chiude", p. 126.
"E sento confusamente che quel giorno le cose hanno cominciato a finalmente a parlarmi. In questi casi bisogna ascoltare con molta attenzione, mi dico. Perché in giorni come questi il particolare linguaggio simbolico della vita si rivolge a noi in mille modi, tutto diventa avvertimento, tutto, purché si riesca a comprenderlo, diventa segno e immagine", pp. 127-128.
"…se qualcuno si prepara così scrupolosamente a confessarsi con assoluta franchezza, è perché sa che nella sua vita arriverà il giorno in cui avrà effettivamente qualcosa da confessare", p. 131.
"Sono estremamente rare le persone le cui parole coincidono alla perfezione con la realtà della loro vita. Forse è il fenomeno più raro che esista al mondo. A quei tempi non lo sapevo ancora. Non intendo dire che il mondo sia fatto di bugiardi. Penso però che è inutile accumulare esperienze, conoscere la verità, perché non siamo in grado di cambiare la nostra natura fino in fondo. Forse il massimo che possiamo fare nella vita è adattare alla realtà del mondo, con intelligenza e cautela, la realtà immutabile della nostra natura. Di più non possiamo fare. E neanche questo ci renderà più saggi o più resistenti…", p. 134.
"Si danno un bacio, uno strano bacio rapido e un po' goffo: se qualcuno li vedesse non potrebbe fare a meno di sorridere. Ma come tutti i baci umani anche questo, alla sua maniera tenera è grottesca, è la risposta a una domanda che non è possibile affidare alle parole", pp. 171-172.