Fëdor Dostoevskij, L'idiota (Idiót, 1869), tr. Rinaldo Küfferle, Garzanti, 1975.


Volume I
"Salendo le scale, il principe era molto inquieto e si sforzava di farsi coraggio. «Tutt'al più,» pensava, «potranno non ricevermi o pensare male di me, o magari mi riceveranno e cominceranno a burlarmi…Che importa?». Infatti non era quello il suo maggiore timore; era alle domande «Perché ci vado?» e «Che cosa farò?» che non trovava una risposta soddisfacente […] Alla sua mente si presentava poi un'altra domanda capitale, cui non sapeva dare risposta; una domanda che il principe temeva, tanto che non osava neppure rivolgersela esplicitamente, che non riusciva neppure a formulare; non appena essa affiorava alla sua mente, egli arrossiva e palpitava tutto. Nondimeno, nonostante tutti quei dubbi e quei timori, egli entrò decisamente e chiese di Nastasja Fillipovna", p. 168.
"Quegli istanti, per definirli in breve, erano caratterizzati da una folgorazione della coscienza e da una suprema esaltazione dell'emotività soggettiva. Se in quell'attimo preciso, cioè nell'ultimo che precedeva immediatamente un attacco della sua malattia, egli aveva avuto il tempo di dire a se stresso chiaramente e consapevolmente: «Si, per questo momento si può dare tutta la vita!» certamente quel momento, per sé, valeva tutta la vita", p. 280.

Volume II
"Ci sono persone al mondo di cui sarebbe difficile dire che cosa le presenti di punto in bianco in tutto il loro complesso, coi loro tratti più tipici e caratteristici; sono coloro che, al solito, portano il nome di «gente comune» o di «maggioranza» e che realmente costituiscono la maggioranza di ogni società. Gli scrittori cercano, generalmente, di scegliere per i loro romanzi e le loro novelle «tipi» di società che s'incontrano molto raramente, ma nondimeno sono quasi più reali della realtà stessa e di presentarli in modo forbito e artistico […] Tuttavia, ci troviamo di fronte a un problema insoluto: che deve fare un romanziere che presenta ai suoi lettori gente ordinaria, assolutamente «comune» per renderla quanto è possibile interessante?[...] Ma quando, per esempio, la caratteristica stessa di questa gente consiste nella sua costante e immutabile volgarità[…] essa comincia a acquistare, in un certo senso, un carattere tipico, quello della banalità, che non vuole per nulla rimanere ciò che è, ambisce a diventare ad ogni costo originale e indipendente, pur non avendo l'occorrente", pp. 579-580.
"Vogliono mettervi nientemeno sotto tutela governativa, privandovi del vostro libero arbitrio e del vostro denaro, cioè delle due cose che ci differenziano dai quadrupedi", p. 743.

Russi dell'800