Linguaggio quotidiano e linguaggio dei social: quando un post esaurisce la nostra realtà e il nostro pensiero.

In origine c'era l'e-mail.
Certo, non era come scrivere una lettera, eppure lo strumento concedeva ancora uno spazio sufficiente alla soddisfacente espressione di ciò che si aveva intenzione di comunicare all'interlocutore. Questo accadeva nonostante l'utilizzo del mezzo implicasse la contrazione del linguaggio utilizzato per esprimersi: meno parole significava tempo risparmiato. Di fatto, il risparmio tempo - oltre alla comodità della comunicazione a distanza, immediata, spesso svincolata da orari - costituiva il motivo d'essere del mezzo stesso.
Poi sono arrivati gli sms, che hanno generato una ulteriore contrazione dei parametri linguistici e temporali. L'efficienza, in tal modo, ha prevalso sull'efficacia: l'imperativo era - ed è - fare presto. Se questo vuol dire riuscire a spiegarsi, e a capire, solo fino a un certo punto, pazienza!
Con i social e WhatsApp questa dinamica si è ulteriormente accentuata.
Eppure, in origine, si trattava di strumenti che chiedevano l'utilizzo di un linguaggio sì contratto ma che ancora tratteneva un legame con gli stili comunicativi della vita offline. La contrazione era un espediente tecnico e non ancora un modello mentale e linguistico.
Allo stato attuale i ruoli si sono capovolti. La pervasività del mezzo tecnologico ha fatto sì, negli ultimi anni, che la comunicazione diretta, faccia a faccia, diventasse l'esito del trasferimento, nella realtà materiale, delle modalità comunicative adottate all'interno dei social: la contrazione linguistica e temporale, da espediente tecnico, si è tradotta in una modalità comunicativa ben definita e strutturata sia sotto l'aspetto prettamente linguistico che in merito ai modelli mentali da cui trae origine e che, al contempo, ne derivano.
Il rischio che ne consegue è che la contrazione linguistica si svincoli del tutto, e definitivamente, dalla sua funzione di espediente tecnico e si affermi, invece, come definitiva contrazione del pensiero: poche parole a disposizione vuol dire minori opportunità di raffigurarsi la realtà - interiore ed esteriore - di interpretarla ed esprimerla attraverso concetti, idee, pensieri, immagini.
Vale la pena provare a riappropriarsi delle proprie risorse linguistiche, particolarmente quelle atrofizzate dall'abitudine ad utilizzare sempre e solo dati termini e ciò nell'illusione che tanto ci capiamo lo stesso.
Si tratta di ampliare il proprio orizzonte linguistico senza più accontentarsi di ciò che è immediato, superficiale, facilmente accessibile. Un modo molto semplice (si fa per dire) per intraprendere questa strada è leggere, ad esempio (se di testi cartacei, tanto meglio. Altrimenti, va bene lo stesso. Importante è leggere!).
Non è né un discorso nostalgico né buonista. E' un invito a considerare che ne va non solo della rappresentazione della realtà, quella per cui abbiamo bisogno di parole, ma della realtà stessa in cui agiamo, la realtà vera, quella materiale. Questo perché tendiamo a rifiutare tutto quello che non riusciamo a descrivere. Lo rifiutiamo come «non vero», «non importante», «è solo teoria» ... e, intanto, i nostri spazi vitali si riducono sempre di più.