"Sono abbastanza frequenti- mai abbastanza-le attività sociali, culturali e (timidamente ancora) politiche che si realizzano in nome dell'inclusione.
La parola stessa evoca valori, idee, comportamenti tutti positivi.
Un'iniziativa in favore dell'inclusione si ritiene già per questo lodevole: si suppone che sia quantomeno funzionale a stigmatizzare il suo contrario, ovvero l'esclusione".

Non c'è inclusione senza complessità, contrapposizione e 

(a volte) conflitto.

Alfonso Falanga, 3 giugno 2024.


Globalizzazione: "Termine adoperato, a partire dagli anni 1990, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell'integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo" (Treccani).

Globalizzazione...
Alcuni, oggi, la definiscono il "grande bluff".
O "bluff globale" (cfr. Limes, 4/23, Il Bluff Globale").
Ovvero, non proprio un imbroglio ma qualcosa che, nel corso di alcuni decenni, si è rivelato diverso da ciò che sembrava essere in origine. Diverso rispetto a ciò che aveva promesso di essere.
Pur considerando le differenti accezioni dello stesso termine (cfr. Limes, 4/23, cit.), è lecito affermare che, in misura trasversale alle molteplici prospettive locali del fenomeno globale, tra le promesse non mantenute è da collocarsi il superamento delle barriere culturali tra le popolazioni del pianeta. 
E' risultata, perciò, infranta la promessa di una maggiore tolleranza (anche se c'è da chiedersi cosa sia la tolleranza se non la sopportazione di qualcuno della cui presenza faremmo volentieri a meno e con cui, invece, siamo obbligati a condividere spazio e tempo da norme di ordine materiale, morale, politico) tra diversità.
In questi ultimi anni, anzi, sembra che quelle barriere si siano moltiplicate. O che comunque siano diventate ancora più solide. In alcuni casi, questa solidità si è tradotta in veri e propri muri e recinzioni invalicabili o difficilmente valicabili.
Le distanze si sono accentuate anche all'interno di una medesima comunità: dentro confini fisici, linguistici e valoriali si sono sviluppati altri confini-immateriali e a volte anche materiali- tra molteplici micro-comunità.
Come reazione a questa esasperazione delle distanze, si fa sempre più riferimento al concetto di inclusione.


"Il fatto è che, in alcuni casi, si ha l'impressione che parlare di inclusione sia in realtà un espediente per favorire percorsi di normalizzazione atti ad appianare differenze, semplificare complessità, aggirare contrapposizioni. Oltre che ad assopire ambizioni e sdoganare mediocrità: una vera pratica anestetizzante, insomma".

Inclusione: "L' atto, il fatto di includere, cioè di inserire, di comprendere in una serie, in un tutto (spesso contrapposto a esclusione) …" (Treccani)

Inclusione…
Va di moda, questa parola. Ben venga.
Sono molteplici le occasioni, nel dibattito pubblico, in cui la si utilizza.
Sono abbastanza frequenti- mai abbastanza-le attività sociali, culturali e (timidamente ancora) politiche che si realizzano in nome dell'inclusione.
La parola stessa evoca valori, idee, comportamenti tutti positivi.
Un'iniziativa in favore dell'inclusione si ritiene già per questo lodevole: si suppone che sia quantomeno funzionale a stigmatizzare il suo contrario, ovvero l'esclusione.

Parola e concetto pervadono anche il linguaggio generando, in alcuni casi, forme di esasperazioni, come quando si tende a includere nel sistema rappresentativo qualsiasi elemento di diversità socio-culturale proprio per evitare che quell'elemento sia escluso, dunque perda in visibilità e in dignità. Rischiando, però, pur a partire da ragioni lodevoli, di generare un sistema inclusivo sì ma escludente coloro che ad esso non hanno accesso (non sempre per mancanza di volontà: per semplice abitudine, a volte, per competenza linguistica in altre).

leggi "Anche quando si parla di sciocchezze, ormai, si scatena una lotta tra il Bene e il Male".


Il fatto è che, in alcuni casi, si ha l'impressione che parlare di inclusione sia in realtà un espediente per favorire percorsi di normalizzazione atti ad appianare differenze, semplificare complessità, aggirare contrapposizioni. Oltre che ad assopire ambizioni e sdoganare mediocrità: una vera pratica anestetizzante, insomma.

L'inclusione non è veramente tale se non contempla la gestione della complessità che è, gioco forza, la sua sostanza, la sua ragione d'essere: includere è accogliere diversità, semmai non esaltandole ma certamente rispettandole. Lì dove per complessità si intende la coesistenza- al di fuori di qualsiasi gerarchia di valori-di elementi diversi, tanto diversi da essere, a volte, tra loro contraddittori. Per questo la complessità in alcuni casi si traduce in forti contrapposizioni, se non addirittura in conflitto. Bisogna essere preparati all'eventualità. Preparati non a combattere ma a negoziare. Dunque, a comunicare. A saper comunicare.
Per definizione, si negozia e si comunica tra diversità anche molto...diverse tra loro. Anzi, più sono diverse e più richiedono buona comunicazione, allo scopo di elaborare terze vie funzionali alla coesistenza di quelle stesse diversità.

leggi "Una riflessione su complicanza e complessità attraverso la storia del Visconte dimezzato".


Conflitto: fig. Urto, contrasto, opposizione...(Treccani)

Conflitto: una parola, un'idea che spaventa e a ben vedere.
Una parola che in automatico si associa a morte e distruzione.
Ciò è inevitabile, specialmente di questi tempi.
Ma conflittuale è anche quella dinamica che dà modo alle differenze di mostrarsi in tutta la loro pienezza e rivendicare le proprie ragioni.
In quest'ottica, è conflittuale il processo attraverso cui finalmente i nodi vengono al pettine.

Favorire inclusione non può prescindere dalla capacità di gestire anche conflitti, elaborando strategie di coesistenza tra gli opposti.
Altrimenti, inclusione è vuota retorica. E' subdola manipolazione.
Diventa uno di quegli slogan tanto carucci che tutto annunciano senza nulla dire. E nulla fare.