Virginia Woolf, Orlando (Orlando: a biography, 1928), tr. Silvia Roti Sperti, Feltrinelli, 2017.


"Può darsi che esista una parentela tra le qualità, che una ne attiri a sé un'altra, e il biografo dovrebbe qui prestare attenzione al fatto che sbadataggine si accompagna spesso a un amore per la solitudine. Orlando, che ora era inciampato in un cassettone, amava per indole i luoghi isolati, gli ampi orizzonti e sentirsi sempre, sempre e per sempre solo. Così, dopo un lungo silenzio, mormorò infine: - Sono solo-, aprendo la bocca per la prima volta in queste memorie", p. 18.
"Era l'epoca elisabettiana: la loro morale non era la nostra né lo erano i poeti, il clima, e nemmeno gli ortaggi. Tutto era diverso. E' giusto credere che le stesse condizioni atmosferiche e il caldo e il freddo di estati e inverni fossero di tutt'altra tempra. Il brillante giorno d 'amore era distinto dalla notte come la terra dall'acqua. I tramonti erano più rossi e più intensi, le albe più candide e d'aurora, e non conoscevano le nostre penombre crepuscolari e il nostro languido imbrunire. La pioggia cadeva a dirotto o non cadeva affatto. Il sole ardeva, oppure era buio. I poeti, traducendo tutto questo nelle sfere spirituali, come è loro abitudine, cantavano splendidamente dell'appassire delle rose e del cadere dei petali. L'attimo è breve, cantavano, è già passato: che tutti dormano quindi il sonno di una lunga notte", p. 24.
"Ma il tempo purtroppo, pur facendo fiorire e appassire con sorprendente puntualità animali e vegetali, non ha effetti così semplici sull'animo umano. L'animo umano, inoltre, elabora il corpo del tempo in maniera altrettanto strana. Un'ora, una volta insediatasi in quel bizzarro elemento che è lo spirito umano, può dilatarsi cinquanta o cento volte rispetto alla sua durata d'orologio; d'altro canto, un'ora può essere rappresentata dall'orologio dell'anima da un solo secondo", p. 73.

"Fra il tumulto di questi pensieri, però, si stagliò ora come una cupola di marmo bianco e levigato qualcosa che, fosse realtà o fantasia, colpì a tal punto la sua febbrile immaginazione da posarvisi come uno sciame di vivaci libellule che planino soddisfatte sulla campana di vetro che copre un fragile vegetale", p. 118.

"Che fantasmagoria è la mente, che luogo di incontro di cose dissimili!", p. 127.

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"Poi l'intelligenza, per quanto divina e venerabile, ha l'abitudine di alloggiare nelle carcasse più squallide e spesso, ahimè, si comporta come un cannibale con le altre facoltà, tanto che speso, là dove la Mente è più grande, Cuore, Sensi, Magnanimità, Carità, Tolleranza, Gentilezza e via dicendo hanno a mala pena lo spazio per respirare", p. 152.
"Ma lo spirito del diciannovesimo secolo le era totalmente avverso e perciò ne fu soverchiata e spezzata e fu consapevole della sua disfatta come non mai. Perché è probabile che l'animo umano abbia un suo posto assegnato nel tempo: alcuni sono figli di un'epoca, altri di un'altra. E ora che Orlando era diventata donna, e di fatto aveva superato di un anno o due la trentina, i tratti del suo carattere erano ben formati, e piegarli in una direzione contraria era intollerabile", p. 174.

"...i suoi pensieri divennero misteriosamente tesi come se un accordatore di pianoforti le avesse infilato una chiave nella schiena tirandole forte i nervi", p. 211.

"Le grandi ali del silenzio battevano per la casa vuota ...", p. 225.

"Tutto era diventato qualcos'altro, come se la sua mente fosse diventata una foresta con radure che si diramavano da ogni parte", p.  228.