Orlando e il mondo a una dimensione (o senza dimensioni) di Virginia Woolf.
Alfonso Falanga, 30 gennaio 2024
"Virginia Woolf sa costruire un mondo in cui ognuno è parte di un'unica dimensione, un mondo dove uno si fonde con l'altro e ciò a prescindere da un concreto contatto fisico.."
Libri che ci hanno appassionato in passato, ripresi a distanza di anni, spesso ci confermano il piacere della prima lettura: anzi, a volte, risultano dotati di nuovi significati. Oppure, al contrario, ci lasciano dubbiosi e scontenti al punto che attribuiamo quel piacere iniziale a inesperienza o a un errore di gioventù, oppure ad un cambiamento dei nostri gusti letterari.
La delusione non appartiene alla mia rilettura di alcune tra le opere più note di Virginia Woolf (Mrs. Dalloway, Gita al faro, Orlando), dove ritrovo intatti i significati di allora. Inalterata è anche la sensazione di essere guidato dall'autrice in un mondo senza confini spazio-tempo, un mondo sì etereo ma non per questo inconsistente, svuotato di sostanza, un mondo frivolo. Tutt'altro.
Ritrovo invariata la maestria dell'autrice nel disegnare una dimensione in cui i diversi personaggi sono connessi tra loro e ciò sia all'interno della singola opera che tra le diverse storie. È così solido questo filo conduttore tra donne e uomini, distanti nel tempo e nello spazio, che è possibile immaginare l'intera produzione narrativa di Virginia Woolf (particolarmente per quel che riguarda i tre romanzi citati, con altri -come, ad esempio, La crociera,1915- che sembrano esercizi preparatori ad essi) come un'opera singola. Beninteso, è quel che accade leggendo anche altri autori-si pensi, ad esempio, al mondo fantasmagorico di Italo Calvino-solo che nel caso di Virginia Woolf sembra un'operazione voluta, consapevole, come se l'autrice fosse stata portata-per esigenze di spazio e per non gravare eccessivamente sull'attenzione del lettore - a spezzettare l'unicità della sua opera in diverse altre creazioni di dimensioni più ridotte (non per questo, per il lettore, meno impegnative rispetto ad una immaginaria opera unica).
"In Virginia Woolf i fatti puri e semplici contano poco (anche se tragici), così come conta poco la corporeità dei personaggi il cui valore consiste essenzialmente nell'essere contenitori di pensieri, sentimenti, emozioni. E ricordi..."
Virginia Woolf sa costruire un mondo in cui ognuno è parte di un'unica dimensione, un mondo dove uno si fonde con l'altro e ciò a prescindere da un concreto contatto fisico (come nel caso di Clarissa Dalloway e di Septimus Warren Smith, protagonisti, in Mrs. Dalloway, di due vicende che mai si intrecciano ma dove una risente dell'eco dell'altra). Un mondo nel quale i fatti risultano delle ingerenze nell'armonioso fluire delle emozioni e dei ricordi. Un'armonia non sempre destinata a sfociare nel bene, ma che resta sempre e comunque un'armonia: al drammatico epilogo della storia di Septimus, ad esempio, si giunge senza scossoni, quasi vi si scivola in modo del tutto naturale, in armonia, appunto, come se non ci potesse essere altra conclusione che quella.
In Virginia Woolf i fatti puri e semplici contano poco (anche se tragici), così come conta poco la corporeità dei personaggi, il cui valore consiste essenzialmente nel veicolare verso il lettore pensieri, sentimenti, emozioni. E ricordi. La memoria, per l'autrice, è un ingrediente essenziale dei suoi romanzi, è un elemento che lei sa scandagliare con passione e maestria al punto che, in alcuni momenti (pochi, brevi ma intensi, come con Clarissa Dalloway quando oscilla tra passato e presente attraverso la figura Peter Walsh, allo stesso tempo ricordo di un amore passato e materializzazione, nell'attualità, di quel ricordo- ), fa venire in mente Proust, così come in altri i suoi flussi di coscienza richiamano Joyce (autore, almeno quello dell'Ulisse, notoriamente "antipatico" alla scrittrice britannica).
La memoria fa da protagonista perché il tempo-il Tempo- è protagonista. Che si accenni a un superamento del normale fluire cronologico, infatti, non significa che nei romanzi della scrittrice britannica lo scorrere delle ore, dei giorni, dei mesi e degli anni non conti. Anzi. Il passare del tempo è il sottofondo costante alle storie. Lo scorrere del tempo, e i suoi effetti, è quella legge di natura-e di vita- a cui i personaggi vorrebbero, con tutte le loro forze, sottrarsi. Eppure, è quella legge con cui essi più si confrontano. Questo brano, tratto da Mrs. Dalloway, ne è solo uno dei molteplici esempi:
"Deponendo la spilla sul tavolo, ebbe un improvviso spasmo, quasi che, mentre rimuginava, i gelidi artigli avessero avuto modo di avvinghiarla. Non era ancora vecchia. Aveva compiuto da poco cinquantun anni. Le restavano ancora mesi e mesi, intatti, del cinquantaduesimo anno. Giugno, luglio, agosto! Ancora lunghi mesi da consumare", (Mrs. Dalloway-Mrs. Dalloway,1925- tr. Pier Francesco Paolini, Newton Compton, 2021, p. 49).
Proprio perché il mondo narrato da Virginia Woolf è un mondo etereo, per il lettore non sempre è agevole penetrare la sua non-materialità: quando vi riesce, risulta poi faticoso trattenere in mente quel che si è appena letto. Le parole scivolano come se poggiassero su un piano inclinato, e quando si riesce ad afferrarle poi di nuovo scappano via: parole ribelli, scritte per destare stupore (non per stupire, che è tutt'altro, è un espediente a cui mai l'autrice ricorre e ciò semplicemente perché non le interessa, e non le interessa perché non ne ha bisogno) ma non per essere trattenute. Se è può risultare labile il ricordo della parola, però è forte, e resta radicata nell'intimo del lettore, l'emozione suscitata da quella parola.

La costruzione di questo mondo a una dimensione (o senza dimensioni), se è trasversale-in varia misura- a tutte le sue opere, giunge al suo apice in Orlando, romanzo che rappresenta l'esempio per eccellenza della capacità, e del desiderio, dell'autrice di navigare oltre lo standard degli schemi cronologici e geografici - e letterari-, troppo stretti per la vivacità dei suoi pensieri e per la sua sensibilità artistica e umana. Una vivacità e una sensibilità che, se la rendono una delle massime espressioni del modernismo letterario inglese- ed europeo- del Novecento, nella vita di tutti i giorni la costringono ad una solitudine che, se non proprio materiale, è certamente spirituale.
"Orlando, che ora era inciampato in un cassettone, amava per indole i luoghi isolati, gli ampi orizzonti e sentirsi sempre, sempre e per sempre solo. ", (Orlando-Orlando: a biography,1928-, tr. Silvia Roti Sperti, Feltrinelli, 2017, p. 18).
Virginia Woolf è sola, così come è solo Orlando, suo alter ego dalle fattezze e dal carattere tanto complessi, indefiniti e indefinibili da non poter essere che destinato alla solitudine e ciò pur se coinvolto in molteplici eventi e circondato da una varietà infinita di personaggi.
Si tratta di una solitudine essenzialmente interiore, che nasce dal forte senso di responsabilità dell'autrice: responsabilità verso se stessa, verso gli altri e, in particolare, verso le donne. Un senso etico, il suo, che ne fanno una precursora delle più importanti tematiche riguardanti il femminismo europeo di inizio Novecento e, in generale, del XX secolo.

Bibliografia.
Virginia Woolf:
La crociera (The Voyage Out,1915), tr. Luciana Bianciardi, Newton Compton, 2021.
Gita al Faro (To the Lighthouse,1927), tr. Anna Laura Malagò, Newton Compton, 2010.
Mrs. Dalloway (Mrs. Dalloway,1925), tr. Pier Francesco Paolini, Newton Compton, 2021.
Orlando (Orlando: a biography,1928), tr. Silvia Roti Sperti, Feltrinelli, 2017.
Una stanza tutta per sé (A Room of One's Own, 1929), trad. Egle Costantino, BUR Rizzoli, 2013.
Francesca Frigerio, Modernismo e modernità. Per un ritratto della letteratura inglese 1900-1940, Einaudi, 2014.