Pastorale americana, di Philip Roth: il sogno americano che diventa incubo americano.

Alfonso Falanga, 27 dicembre 2022



"Roth non si perde in giri di parole e, infatti, non rinvia il lettore molto più in là delle pagine iniziali prima di mostrare quanto la perfezione di Seymour sia solo una faticosa operazione di facciata e che il solo "apparire" perfetto gli costi un prezzo elevato in termini di interiorità, di spessore emotivo, di capacità effettivamente relazionali. Nonostante ciò, Seymour non si tira indietro rispetto al compito che la sua comunità gli ha affidato".


Si sa quanto Philip Roth (Newark, 19 marzo 1933 - New York, 22 maggio 2018) sia un autore ammirato in gran parte del mondo.

È, allo stesso tempo, alquanto curioso che sia tanto apprezzato anche nel suo paese e ciò dal momento che non ha mai mancato, particolarmente nelle sue opere più note, di puntare il dito verso le ipocrisie della società yankee e di farlo in modo tanto crudo e diretto da essere una vera e propria lama diretta verso il cuore del sistema dei socioculturale USA (con ampi riferimenti al più vasto modello occidentale).

In Pastorale americana, opera che gli è valso il premio Pulitzer nel 1997, la critica di Roth si svolge attraverso la figura di Seymour Levov, detto lo Svedese. Un personaggio, questo Seymour, che incarna l'ideale americano ovvero quel sistema valoriale intriso di perfezione e di tutto quanto ad essa rinvia: successo economico, bellezza, inserimento in società, notorietà, saldi principi morali (quelli americani, ovviamente). Una perfezione, quella di Seymour, che, però, non disorienta, non suscita invidie, non richiama propositi di vendetta da parte di chi perfetto non è e che non è oppressiva verso i "normali" e gli "imperfetti".

Si tratta, invece, di un insieme di tratti fisici, caratteriali, attitudinali che fanno dello Svedese il predestinato a svolgere un ruolo rassicurante e quasi di collante tra i vari pezzi di una società che, in quegli anni, è sconvolta dalla Seconda guerra mondiale. Seymour, con la sua sola apparizione per strada, in quel marasma di emozioni, paure, difficoltà materiali, sembra annunciare un gaio "Andrà tutto bene".

Roth, comunque, non rinvia il lettore molto più in là delle pagine iniziali prima di mostrare quanto la perfezione di Seymour sia solo una faticosa operazione di facciata e che il solo "apparire" perfetto gli costi un prezzo elevato in termini di interiorità, di carico emotivo, di capacità effettivamente relazionali. Nonostante ciò, Seymour non si tira indietro rispetto al compito che la sua comunità, seppur indirettamente, gli ha affidato.


Nei passaggi iniziali l'autore racconta come il mostrarsi in strada dello Svedese attiri l'ammirazione e la benevola invidia dei ragazzi e susciti l'inevitabile interesse fisico da parte delle ragazze: le più audaci tra queste gli gridano dietro: "Torna indietro, torna indietro, Levov della mia vita!". Ma una simile adorazione sembra non suscitare alcuna gratificazione nello Svedese né produce in lui forme, seppur minime, di riconoscimento e ringraziamento verso le sue adulatrici e i suoi adulatori. Anzi.

"... pareva che l'amore prodigato per lo Svedese lo svuotasse di ogni sentimento. In questo ragazzo abbracciato da tanta gente come simbolo di speranza - come l'incarnazione della forza, della decisione e del valore baldanzoso che alla fine avrebbe avuto la meglio, permettendo ai ragazzi della nostra scuola che erano sotto le armi di tornare a casa illesi da Midway, Salerno, Cherbour, dalle Salomone, dalle Aleutine, da Tarawa - sembrava non esistere una goccia di spirito o di ironia che interferisse con il dono prezioso della sua responsabilità". (Philip Roth, Pastorale americana, tr. italiano di Vincenzo Mantovani, Einaudi, 2013, p. 7).

Lo Svedese si svuota, insomma, si riduce ad un involucro, pur se uno splendido involucro, e tutto per meglio svolgere il suo compito che lo incatena alla storia, dice Roth, anzi lo rende uno strumento della storia (cit, p. 8). Forse, ecco il dubbio che insinua l'autore, questa sua attitudine a svincolarsi da ogni passione è agevolata dal fatto che Seymour è già vuoto. Un vuoto ben riempito dall'apparenza. Un vuoto ben saturo, di apparenza.


Le vicende che riguardano Levov si dipanano seguendo costantemente il confronto tra apparenza e sostanza, tra luce e ombra, tra verità e inganno, tra perfezione e tragedia. Il tutto ha come testimone l'alter ego di Roth, lo scrittore Nathan Zuckerman, presente anche in Ho sposato un comunista e La macchia umana.


"Eppure, proprio questa incomprensione costituisce l'essenza della vita vera. Non riuscire a comprendere l'altro, dunque, è di per sé uno squarcio nel velo della perfezione e della semplicità".


Roth, tratteggiando i paradossi che annodano la vita del protagonista, va oltre la superfice scintillante e accattivante del "sogno" lasciando emergere quanto di doloroso, a volte tragico, essa nasconda.

Allo stesso tempo l'autore, attraverso questa sorta di voce fuori campo che appartiene a Nathan, ci mette sull'avviso ricordandoci che questo lento accostarsi alle imperfezioni non è agevole. Non è un'operazione in cui si sia immuni da equivoci, incomprensioni, errori. Non si è esenti dal rischio di essere avventati e superficiali mentre di vuole confutare proprio la semplicità e la sciatteria dei giudizi sulla vita, sugli altri, su come va il mondo. Roth lo dice chiaramente:

"Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarsi alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze di acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l'affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male" (cit., p. 40).

Eppure, proprio questa incomprensione costituisce l'essenza della vita vera. Non riuscire a comprendere l'altro è di per sé uno squarcio nel velo della perfezione e della semplicità. L'impotenza di fronte all'inaccessibilità della mente altrui è il miglior espediente per evitare, o infrangere, l'illusione che il mondo sia abbordabile, comprensibile, prevedibile, benevolo.

Pastorale americana è un'opera che rimanda costantemente all'inganno delle apparenze, alle deformazioni generate dalla presunzione che bastino i contorni per conoscere i contenuti, che l'impressione sia più che sufficiente a dire "Io ti conosco e tu conosci me" e "Io mi conosco". Le apparenze...Le prime impressioni...indicatori della perfezione, della semplicità, del tirare avanti sempre e comunque. Segni di una società che, se vuole continuare a sognare, deve ovviare a qualsiasi approfondimento: è questa la società del XX secolo e, aggiungiamo, del XXI secolo. È questa la società post-moderna.



"L'immagine che abbiamo uno dell'altro. Strati e strati di incomprensione. L'immagine che abbiamo di noi stessi. Vana. Presuntuosa. Completamente distorta. Ma noi tiriamo diritto e viviamo di queste immagini" (cit., p. 69).

Questo passo evidenzia ulteriormente come Pastorale americana sia un'opera dove si parla anche dell'incomprensione reciproca e inevitabile che segna i rapporti umani e che destina ognuno a una sorta di esilio in cui non è si è soli perché si è sempre di troppo, così come lo è Iron Rinn (o Ira), il personaggio di Ho sposato un comunista:

"Ira non era tanto un perseguitato, cioè una persona costretta ad abbandonare il proprio posto, quanto una persona fuori posto, troppo grande, spiritualmente e fisicamente, per il posto che occupava". (Philip Roth, Ho sposato un comunista, tr. Vincenzo Mantovani, Einaudi, p. 195).

Pastorale americana è questo e tante altre cose. È una disamina del rapporto tra lo scrittore e l'arte dello scrivere ("Scrivere ti trasforma in una persona che sbaglia sempre. La perversione che ti spinge a continuare è l'illusione che un giorno, forse, l'imbroccherai", Philip Roth, Pastorale americana, cit., p.68), è un romanzo storico, almeno della storia americana dal secondo dopoguerra in poi. È principalmente un coltello che affonda senza scrupoli nelle ferite causate dal sogno americano nel cittadino medio americano, nei vuoti emotivi e nelle distorsioni cognitive che esso copre con il manto della perfezione.

È anche una riflessione sul rapporto genitori-figli. Anzi, per lo Svedese il contrasto tra apparenza e sostanza, tra semplice e complesso, tra irreale e reale è rappresentato proprio dal rapporto-non rapporto con Merry, la figlia fin da piccola balbuziente e le cui difficoltà di linguaggio costituiscono la minaccia più seria alla perfezione che, agli occhi del mondo, illumina la vita dello Svedese e della moglie, Dawn Dweyer, anche lei perfetta e bella. Tanto bella da essere stata, da giovanissima, eletta Miss New Jersey (fase della sua vita che si traduce, per Dawn che aspira ad essere altro, in una vera e propria persecuzione) (la perfezione che diventa condanna a vita anche quando l'età, la sola età, basterebbe a infrangere tale illusione) (un'illusione, tra l'altro, già messa a dura prova dalle balbuzie di Merry, della sua ribellione, dell'attentato che ne deriva).


Merry, dal momento in cui si impone nella narrazione, o meglio alla narrazione, è il perno su cui poggia tutta la storia. Ogni altra vicenda, qualsiasi altro personaggio (anche Seymour stesso, per non parlare di Dawn) diventa di contorno o comunque costituisce una derivazione dell'esistenza, e di tutte le conflittualità che reca con sé, di Merry. È con l'affacciarsi sulla scena della bambina, poi adolescente, poi giovane donna sempre e comunque ribelle contro l'intero sistema socioculturale-politico americano (ribellione diretta verso gli stessi genitori ritenuti, anzi, i principali esponenti delle nefandezze di cui, agli occhi di Merry, è macchiato quel sistema) che la vita dello Svedese si sgancia definitivamente dalle apparenze per procedere sui binari della cruda (crudele) realtà. Merry costringe la sostanza a emergere: impone al sogno americano di mostrarsi per quel che è. Un sogno, appunto, un bel sogno che, come tutti i sogni, o finisce (l'ipotesi più auspicabile) o si tramuta in incubo. E quello di Seymour Levov si traduce, appunto, in incubo.

In effetti, Pastorale americana è la storia di come un uomo lotti contro i retaggi di un passato imperniato sulla perfezione e lo fa "semplicemente" per rendersi idoneo a sostenere l'imperfezione che emerge ogni giorno dalla vita "normale". Per vivere l'incubo senza soccombere. Per imparare a sostenere la tragedia: lui, proprio lui, un uomo che sembrava essere destinato ad una vita tutt'altro che tragica.

"Ecco un uomo che non è stato programmato per avere sfortuna, e ancor meno per l'impossibile. Ma chi è pronto ad affrontare l'impossibile che sta per verificarsi? Chi è pronto ad affrontare la tragedia e l'incomprensibilità del dolore? Nessuno. La tragedia dell'uomo impreparato alla tragedia: cioè la tragedia di tutti" (cit., p. 94).

Eppure è lecito individuare nel comportamento dello Svedese un residuo del sogno americano. Tracce di perfezione sono riscontrabili, ad esempio, proprio nella tenacia con cui Seymour fronteggia l'opposizione della figlia al sistema, quel sistema in cui Merry, come già detto, include tutto e tutti basta che sia qualcosa o qualcuno di americano se non addirittura, più ampiamente, di occidentale.

Seymour riconosce lo spessore della tragedia causata da Merry: non nega mai la crudeltà del gesto, mai lo giustifica, anzi se ne fa carico: infatti trascorre anni e anni a cercare di capire se e in che modo e misura egli abbia contribuito all'insorgere, nella figlia, di questa attitudine al male. Questa sua onestà intellettuale non gli impedisce di amare la figlia e di cercarla, per anni. Per sempre. La sua vita si traduce, di fatto, nella ricerca di Merry.


Seymour, una volta che la figlia scompare dalla sua vita per diventare una ricercata dall' FBI, non si rifà una vita senza Merry. A differenza di Dawn che, dopo un iniziale crollo emotivo, si riprende e riparte da zero: senza Merry e, alla fine, almeno sentimentalmente, senza Seymour. Nella caparbietà dello Svedese c'è, da un lato, la caparbietà del genitore perfetto-che ama sempre e comunque il figlio e che si ritiene sempre e comunque colpevole degli errori del figlio- e, dall'altro, l'ostinazione con cui, nell'immaginario a stelle e a strisce, l'americano tipo lotta contro i mali del mondo dovunque essi si annidino e specialmente se sono mai di ordine etico e morale.

Resta sullo sfondo il confronto-scontro tra sogno e realtà, dove quest'ultima è rappresentata dalla consapevolezza di Dawn che sa-come madre e come donna- che Merry è irrecuperabile. Anche nei riguardi di Dawn, comunque, Seymour non si arrende:

"Marry non vuole diventare grande. (Dawn, N.d.A.).

Adesso, Oggi. Ma c'è il futuro. C'è un legame, tra noi, ed è fortissimo. Finché non la lasceremo andare, finché continueremo a dialogare, il futuro è ancora possibile" (Seymour, N. d. A.) (cit., p. 113).


Il solo ristoro per lo Svedese, la sola pausa che si concede dal confronto con la tragica attualità, è data dal ricordo. Egli si immerge nel passato al punto che il susseguirsi di immagini di avvenimenti lontani nel tempo diventa una sorta di dimensione parallela all'attualità: si tratta di un passato che, comunque, è esente da nostalgie e da rimpianti. È semplicemente un modo, quello di Seymour, di ricordarsi e di confermarsi che la sua vita e la sua identità non hanno come punto di partenza e punto di arrivo esclusivamente Merry e la sua azione tragica e criminale.


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"Non c'è scampo, per Seymour, nella lotta tra apparenza e sostanza, tra perfezione e imperfezione, tra sogno e realtà. Per quanto insegua, si agiti, lotti, egli (forse) sa che è destinato a soccombere".  

Esempi di questo recupero sono il resoconto della storia della fabbrica di guanti, ereditata dal padre, che lo Svedese fa a Rita Cohen, "...una ragazza minuta e pallidissima che sembrava avere la metà degli anni di Merry ma sosteneva di averne sei in più" (cit., p. 127). Rita, un giorno, si presenta in azienda e dichiara di volerla visitare per soddisfare il suo interesse di studentessa. Il fatto non stupisce lo Svedese: sono cose che sono accadute altre volte, anche all'epoca in cui la fabbrica era diretta dal padre.

L'interesse di Rita, però, ad un certo punto si rivelerà di tutt'altra natura. La stessa ragazza svelerà la sua vera identità dichiarandosi una compagna di Merry e, nella circostanza, una sua emissaria. Ma finché Seymour aderirà alla menzogna, quella giovane sconosciuta resterà un pretesto per attingere, attraverso il ricordo, nuove energie. È un'operazione che gli permette, seppur momentaneamente e mentendo parecchio a se stesso, di ricostruire quell'identità, fasulla quanto si vuole ma che resta la sua unica identità, andata in frantumi insieme allo spaccio dell'ufficio postale, quando Merry vi fece esplodere la bomba.

Un'altra significativa testimonianza del valore attribuito da Seymour al passato è il racconto del suo incontro con Dawn, del corteggiamento, delle sue strategie per attrarre quella giovane donna, appena diventata Miss New Jersey e che era "...così bella che lo imbarazzava straordinariamente anche solo guardare dalla sua parte, come se guardare fosse già in qualche modo toccare o avvinghiarsi..." (cit., p. 206).

Lo Svedese, dunque, rincorrerà per il resto dei suoi giorni Merry, così come rincorrerà il motivo che sia la spiegazione del gesto della figlia:

"Si era nel '62 o nel '63, più o meno al tempo dell'assassinio di Kennedy, prima che la guerra nel Vietnam iniziasse sul serio...Il monaco che si sacrificò aveva una settantina d'anni, era magro, aveva la testa rasata e portava una veste color zafferano...Né urla, né contorsioni, solo la sua calma nel cuore delle fiamme...Quella era stata la molla. Il monaco entrò in casa loro...Se per caso il loro apparecchio fosse stato sintonizzato su un altro canale o spento o guasto...Merry non avrebbe mai visto ciò che non avrebbe dovuto vedere e non avrebbe mai fatto ciò che non avrebbe dovuto fare" (cit., pp. 166-167.

Allo stesso tempo Seymour Levov prova a ricostruire la sua integrità morale ed esistenziale riproponendo nell'attualità vecchi comportamenti, quelli antecedenti all'attentato, quelli che scandivano le sue giornate prima che ci scappasse il  morto nell'esplosione dello spaccio (prima dei morti, come poi scoprirà quando verrà a conoscenza delle altre vittime della rabbia distruttiva della figlia).

A questo scopo inizia a frequentare il nuovo spaccio messo su un anno dopo l'attentato proprio nel posto "dove sorgeva lo spaccio". Lui ci riesce, Dawn no, Dawn non è in grado nemmeno di avvicinarvisi. Dawn non cerca vecchie identità: ne vuole una nuova, assolutamente nuova, tanto nuova da riguardare non solo la sua vita interiore ma anche l'aspetto esteriore. Cerca il nuovo attraverso l'oblio, da un lato, e i cambiamenti del corpo (si sottopone a un costoso e doloroso lifting) dall'altro.

Lo Svedese, invece, si impone, ogni sabato mattina, questo ritorno al passato. Lo fa sedendosi al banco del nuovo spaccio, ordina un caffè, legge il giornale. Si impone una routine fatta di gesti minimi, come comprare i francobolli e spedire la posta, ma sufficienti a ripristinare la normalità. Atti apparentemente insignificanti ma che  gli permettono di recuperare, attraverso la loro normalità, la sua identità, che è poi l'apparenza, la perfetta apparenza. 

Ma lo Svedese ormai sa che la sua identità coincide con la vita "...come la si vede di fuori" (cit., p. 188). E che lui, comunque, si impegna a vivere come la viveva un tempo, anche se adesso è ben cosciente di "...un'orribile vita interiore di ossessioni tiranniche, tendenze soffocate, aspettative superstiziose, fantasie spaventevoli, conversazioni chimeriche, domande senza risposta. Notte dopo notte, insonnia e autolesionismo. Una solitudine immensa" (cit., p. 188).

Non c'è scampo, per Seymour, nella lotta tra apparenza e sostanza, tra perfezione e imperfezione, tra sogno e realtà. Per quanto insegua, si agiti, lotti, egli (forse) sa che è destinato a soccombere