Quanto tempo si risparmierebbe se, dialogando, ci si attenesse ai motivi per cui quel dialogo ha avuto inizio.

Alfonso Falanga, 14 novembre 2022

A chi non è capitato di provare, mentre è impegnato in una discussione con uno o più interlocutori, la sgradevole sensazione che il tempo si dilati fino a diventare un involucro sempre più opprimente? Come se si trasformasse in una specie di ragnatela invisibile da cui ci si vorrebbe trarre fuori senza riuscire, invece, a districarsi tra i suoi fili sottili fatti di secondi e poi minuti e poi mezz'ore e, a volte, ore?

Accade, è accaduto, può accadere: tra amici, in famiglia, durante le ore di lavoro. Per quanto riguarda quest'ultimo scenario, è ciò che, a volte, si verifica durante quelle interminabili riunioni che hanno inizio per un motivo e che, dopo un po', smarriscono del tutto la loro ragione d'essere. Al punto che viene da chiedersi, e non sono pochi i casi in cui lo si fa in modo esplicito, "Di cosa stavamo parlando?". Non sempre è una domanda retorica, un espediente cosciente e misurato che si adotta per tornare sull'argomento: può succedere, infatti, che ci si dimentichi effettivamente del motivo per cui si è iniziato a parlare.


Si tratta delle circostanze, insomma, in cui l'obiettivo primario della comunicazione, i motivi per cui essa ha avuto inizio, le aspettative dei partecipanti verso i suoi esiti sono offuscati, e progressivamente sostituiti, da un diverso obiettivo: il semplice parlare. Ovvero la comunicazione si trasforma in un'attività del tutto autoreferenziale: si comunica per comunicare, si parla per parlare. Emettere suoni verbali, a prescindere dai loro contenuti e significati, diventa lo scopo unico. Imprescindibile. Verso cui si fa molta fatica a non procedere come se si ubbidisse a una sorta di ingiunzione che intimi "Dì la tua, qualsiasi essa sia!".

I motivi per cui questa dinamica nasce, si afferma, si sviluppa? Diversi, sempre che abbia senso trovarli, i motivi. Che sia utile discuterne. Che serva farne il punto di partenza per trovare una soluzione al dilemma del parlare per parlare.


Può trattarsi di mera voglia di protagonismo, così presente e trasversale nei vari segmenti della nostra società, una società dello spettacolo. Di incapacità a restare concentrati per più di un minuto su un dato argomento, così coinvolti come siamo nella frenesia dei ritmi quotidiani, trasferita ormai anche nella comunicazione e da questa, poi, rinviata alla stessa quotidianità. Dalla mancanza di attitudine ad uscire dal proprio guscio protettivo fatto di pregiudizi su sé e gli altri - le famose/famigerate zone di comfort- per protendersi oltre se stessi.

Questo o altro. Questo o il suo contrario.

Resta il fatto che diventano sempre più frequenti i casi in cui inevitabilmente, mentre si parla, ci si interrompe per chiedersi: Di cosa stavamo parlando? 

Augurandosi di trovarla, la giusta risposta.