Solo Eduardo può recitare Eduardo?.

Sono convinto che Eduardo De Filippo mai abbia scritto esclusivamente per se stesso. Mai pensando solo a se stesso come unico attore in grado di interpretare i personaggi intorno ai quali, nelle sue opere, ruota l'intera vicenda. Il solo Luca Cupiello possibile. Il solo Gennaro Jovine accettabile. L'unico Pasquale Lojacono degno. E così con Domenico Soriano (pur se da "spalla" a Filumena) … con Peppino Priore, e via di seguito.
Eduardo ha scritto per dare vita a personaggi che incarnassero pregi e difetti riscontrabili, mediamente, nell'intera umanità. Quei tratti caratteriali-caratteristici- che orientano la quotidianità di tutti noi, che ne segnano i piccoli e i grandi gesti, che guidano comportamenti minimi e complessi. L'umanità intera, dunque, e non solo la gente dei vicoli e dei quartieri di Napoli. Anche se, spesso, è proprio dai vicoli che le sue narrazioni hanno origine.
Progetto ambizioso, il suo? Forse, ma è stato in grado di realizzarlo.
Eduardo De Filippo ha scritto per il pubblico. Per il teatro. Teatro inteso come dimensione di vita, spazio culturale, strumento di indagine della psiche umana. E, ovviamente, come fonte di piacere intellettuale, emotivo, fisico.
L'opera di Eduardo appartiene al suo tempo e, insieme, lo supera fino a diventare senza tempo: perciò, eterna.
In questa prospettiva il teatro di Eduardo può, deve, ritenersi un classico.
Ecco che, allora, quando ci si approccia al classico per reinterpretarlo inevitabilmente sorgono alcune questioni di particolare rilievo, del tipo:
1. è lecito rivisitare la struttura tradizionale dell'opera?
2. è possibile innovare senza contravvenire al messaggio dell'autore classico?
3. va sempre rispettata la tradizione?
4. è opportuno fare il confronto tra rappresentazione originale e reinterpretazione?
Quesiti che, nel caso di Eduardo De Filippo, si condensano in un unico grande interrogativo: solo Eduardo può recitare Eduardo?
La risposta, ovviamente, è no. Vale per Eduardo così come per ogni autore classico. Anzi, la trasmissione dell'opera attraverso gli anni e la sua diffusione oltre i limiti geografici avvengono essenzialmente attraverso i suoi interpreti.
E poi, un prodotto artistico, una volta creato, non appartiene più al suo autore. Ciò, comunque, non implica che si possa farne l'uso che si vuole. La "libera proprietà" del prodotto, il suo essere insomma di tutti e di nessuno, non significa che si possa arbitrariamente dissolvere il suo nucleo fondante-culturale, filosofico, storico-sociale- in nome della libertà di espressione- a volte tirata in ballo da chi dice qualcosa senza avere la benché minima idea di cosa stia parlando-della molteplicità dei gusti artistici, della varietà delle prospettive attraverso cui è possibile interpretare la realtà e, dunque, anche un'opera d'arte.

A partire da quest'assunto, allora è opportuno fissare alcuni princìpi che, in qualche modo, rappresentano una risposta alle questioni di poc'anzi:
1. i gusti sono molteplici, e meno male. Il gusto è personale. È legato alla propria storia, al proprio contesto socio-culturale, al momento storico in cui ci si trova  collocati, alla propria competenza linguistica…
L'arte, però, è altro: ha un suo nucleo oggettivo e, principalmente, ha il potere di metterci in contatto con emozioni e sensazioni che non sperimentiamo in nessun'altra occasione, per quanto possa trattarsi di circostanze piacevoli. L'arte, insomma, ci mostra quella zona oscura (non perché malefica ma perché non è normalmente sperimentabile) della realtà e di noi stessi con cui conviviamo, in genere, senza saperlo. Solo l'arte ce ne rende coscienti.
L'arte, dunque, è tale se e solo se ci collega con  ciò a cui mai possiamo accedere con la sola ragione. O con quell'emotività che non ci disorienta perché è quella che ci aspettiamo di provare in quella data circostanza. All'arte non interessa il prevedibile. Non ha zone di comfort. L'arte scuote. Sveglia. Disorienta. 
Una commedia, perciò, può essere ben recitata, intelligente e gradevole: ma non necessariamente è un'opera d'arte. Così un brano musicale. Un libro. Un quadro. Una scultura. 
2. Ogni opera teatrale è interpretabile: l'interpretazione, però, deve evidenziarne gli aspetti più significativi o deve mostrarne nuovi. La rivisitazione deve aggiungere, non togliere. O ridicolizzare. Purtroppo è quanto è accaduto, in tempi recenti, alle opere eduardiane proposte in TV.
3. Spesso, quando ci si appresta ad assistere alla rilettura di un'opera teatrale, si viene esortati- o ci si propone- a non fare confronti tra la nuova versione e quella originale. Nel caso di Eduardo, è una costante. Particolarmente, si invita a non assumere come riferimento lo stile attoriale dell'Autore.
Perché? Per quale motivo all'artista che si assume l'onere e l'onore di portare in scena un'opera eduardiana dovrebbe essere risparmiato il confronto? Tra l'altro, il confronto non è tanto con Eduardo attore-autore, bensì con i suoi personaggi e la loro simbologia: che si tratti di Filumena (essere speciale), di Pasquale Lojacono, di Gennaro e Amalia Jovine, di Luca Cupiello e suo figlio Tommasino (figura spesso trascurata e banalizzata nelle varie riletture di Natale in casa Cupiello), Peppino e Rosa Priore, giusto per citarne alcuni…senza dimenticare personaggi solo in apparenza minori come, ad esempio, Carmela 'a sorella do guardaporte in Questi fantasmi!...e lo stesso guardaporte, Raffaele. O Aglietiello, in Non ti pago.
In conclusione: tutti possono recitare Eduardo. A patto che resti Eduardo!