Steinbeck e l'eterno confronto tra Bene e Male.
Alfonso Falanga, 2 giugno 2023.

"<<Io credo che nel mondo ci sia una storia, e una storia sola...Gli uomini sono presi-nelle loro vite, nei loro pensieri, nei loro appetiti e ambizioni, avarizie e crudeltà, e persino nei loro impulsi di bontà e generosità-in una rete di bene e male…Vizio e virtù sono trama e ordito della nostra prima presa di coscienza...Non esiste altra storia. L'uomo, dopo che si è spazzolato via la polvere e la segatura della vita, resta con questa dura, cristallina domanda: era bene o male? Mi sono comportato nel modo giusto- o in quello sbagliato?>>, (J. Steinbeck, La Valle dell'Eden- East of Eden, 1952- tr. Maria Baiocchi, Anna Tagliavini, Bompiani, 2023, p. 525)".
-Colpa e redenzione: la Storia è storia di un rifiuto.
-L'eroismo dei personaggi di Steinbeck.
-La Valle dell'Eden: la capacità di scelta come segno di appartenenza all'umanità.
-Lee, il servitore cinese, ago della bilancia tra speranza e rinuncia.
-Denuncia sociale, denuncia esistenziale: mai schierata, mai urlata.
-Colpa e redenzione: la Storia è storia di un rifiuto.
John Steinbeck (1902-1968), come ogni grande autore, è ambizioso: egli non si accontenta di raccontarli, i fatti. Non gli basta esserne semplice testimone: ne vuole sottolineare quel senso che va oltre i confini di tempo e di spazio in cui sono costretti, quei fatti. I suoi personaggi, perciò, sono sempre e comunque degli "eroi" in quanto portatori di un destino che non appartiene soltanto a loro ma è dell'umanità intera o, almeno, di quella quota di umanità che, dotata di coscienza, si interroga sul proprio operato e che prova rimorso quando la risposta è insoddisfacente (non per questo necessariamente farà in maniera diversa, la prossima volta).
Secondo Steinbeck si tratta di un destino che racchiude l'eterna lotta tra Bene e Male, tra Colpa e Redenzione: nella prospettiva dell'autore, è tutto qui il nucleo da cui si dipana la nostra storia. L'unica storia possibile, l'unica che ci è concessa: semmai, nel corso del tempo, essa muta le sue forme ma non il suo contenuto.
C'è un passo, in "La Valle dell'Eden", in cui l'autore-quale voce narrante delle vicende che vedono coinvolte le famiglie Hamilton (da cui egli discende) e Trask- specifica il suo pensiero al riguardo:
"Io credo che nel mondo ci sia una storia, e una storia sola...Gli uomini sono presi-nelle loro vite, nei loro pensieri, nei loro appetiti e ambizioni, avarizie e crudeltà, e persino nei loro impulsi di bontà e generosità-in una rete di bene e male…Vizio e virtù sono trama e ordito della nostra prima presa di coscienza...Non esiste altra storia. L'uomo, dopo che si è spazzolato via la polvere e la segatura della vita, resta con questa dura, cristallina domanda: era bene o male? Mi sono comportato nel modo giusto- o in quello sbagliato?", (J. Steinbeck, La valle dell'Eden- East of Eden, 1952- tr. Maria Baiocchi, Anna Tagliavini, Bompiani, 2023, p. 525).
E più avanti egli conclude così questa sua riflessione:
"Abbiamo una sola storia. Tutti i romanzi, tutta la poesia, si reggono sull'infinita lotta, in noi, tra bene e Male. E penso che il male debba essere continuamente ritessuto, mentre il bene, la virtù, sono immortali. Il vizio ha sempre un volto nuovo, giovane e fresco, mentre la virtù è venerabile più di ogni altra cosa al mondo" (cit., p. 527).
Si tratta di una storia segnata da un conflitto che scaturisce dalla paura atavica del rifiuto, quell'emozione cupa e sorda- che quando emerge esplode come un tuono-da cui traggono origine molti eventi tragici che hanno segnato, e segnano, la vita dei singoli così come di intere collettività: la vita di intere nazioni (mai come di questi tempi il rifiuto-nelle sue accezioni psicologiche, sociologiche, storiche, politiche- mostra la sua attualità).
Il rifiuto a cui allude Steinbeck, pur quanto si manifesti in forme complesse e non immediatamente decodificabili, è la riproposizione di quello subito da Caino ad opera di Dio: lo si ritrova nel rifiuto che Charles Trask riceve dal padre, Cyrus, così come in quello di Adam Trask verso il figlio Caleb (cfr. J. Steinbeck, La Valle dell'Eden, cit.).
E', in ognuno dei casi, del ripudio di un dono: così come Dio predilige quello fattogli da Adamo (i primogeniti del suo gregge e il loro grasso) e nega l'offerta di Caino (i frutti del suo raccolto), così Cyrus mostra disinteresse-quasi disprezzo- verso il coltellino che Charles gli regala per il suo compleanno, privilegiando, platealmente, il cagnolino randagio donatogli da Adam. Ne consegue, quando saranno soli, l'urlo rabbioso di Charles verso il fratello (come il rifiuto ricevuto da Caino genera la rabbia omicida verso Abele):
"Cosa hai fatto tu per il suo compleanno? Credi che non l'abbia visto? Hai speso 75 centesimi o anche mezzo dollaro? Gli hai portato un cucciolo bastardo che hai raccolto nel bosco ceduo. Ridevi come un deficiente…E il coltellino dov'è? <Grazie> ha detto, solo <Grazie>", (J. Steinbeck, La Valle dell'Eden, cit., p. 45).
E poi lo aggredirà, come spesso accade: Charles, infatti, non perde occasioni per picchiare Adam che, in questa circostanza, sente nei colpi di Charles una vera e propria volontà assassina.
Anni dopo sarà Adam a riproporre il rifiuto biblico rinunciando ai quindicimila dollari-guadagnati onestamente- che il figlio quindicenne Cal vuole offrirgli per sostenerlo in un affare andato male, generando così nel giovane incredulità, rabbia, senso di colpa, frustrazione, risentimento: Cal tradurrà in pratica questo complesso di stati d'animo bruciandoli, quei soldi.
Avviene, in tutte queste circostanze, la rinuncia a un dono attraverso cui un figlio manifesta la sua ricerca del padre- il suo bisogno di sentirsi da lui riconosciuto, accolto, amato e apprezzato- e che, perciò, viene vissuto ancor di più come fallimento e colpa. È qui, dunque, l'origine della lotta che segna il destino dell'umanità.
"<<La banca è qualcosa di diverso dagli uomini. Tant'è vero che ogni uomo che lavora per una banca odia profondamente quello che la banca fa, e tuttavia la banca lo fa ugualmente. Credetemi, la banca è più degli uomini>> (J. Steinbeck, Furore, cit., p. 46)".
-L'eroismo dei personaggi di Steinbeck.
Si diceva, poc'anzi, che ogni personaggio è "eroe" in quanto si fa carico di un destino che è quello di tutti. Ed è eroe che sia vinto o vincitore.
Lo è anche l'ultimo degli ultimi, come il povero- e gigantesco e dalla forza devastante- Lennie di "Uomini e topi". Lo è l'amico George, che gli è tanto amico da sacrificarlo per sottrarlo al linciaggio dopo che la forza di Lennie-alimentata dalla paura- provocherà involontariamente la morte della moglie di Curley (cfr. John Steinbeck, Uomini e topi -Of Mice And Men, 1937-, tr. Michele Mari, Bompiani, 2023).
Sono eroi Tom Joad e la sua famiglia, protagonisti di "Furore", un romanzo che è una vera e propria trasposizione dell'Esodo biblico nell'America della metà degli anni '30, l'America della Dust Bowl, quando gli Stati centrali furono colpiti da una devastante tempesta di sabbia che rese incoltivabili i campi, causando l'espropriazione delle fattorie da parte delle banche - i contadini, i cui terreni non davano più frutti, non potevano assolvere ai loro debiti- e causando, così, il forzato trasferimento di masse enormi di ex-proprietari terrieri da Est ad Ovest, alla ricerca, nelle città e nelle zone agricole risparmiate dal dramma, di lavoro, qualsivoglia lavoro (cfr. John Steinbeck, Furore -The Grapes of Wrath, 1939-, tr. Sergio Claudio Perroni, Bompiani, 2022).
Qui la lotta è contro un male rappresentato da un sistema che punta ad azzerare il lavoro dell'uomo-non più necessario e, anzi, di intralcio-per sostituirlo con l'azione dello strumento meccanico, indifferente all'uomo ed estraneo alla terra su cui esso agisce indisturbato e inarrestabile. E tutto a scopo di profitto.
"La banca è qualcosa di diverso dagli uomini. Tant'è vero che ogni uomo che lavora per una banca odia profondamente quello che la banca fa, e tuttavia la banca lo fa ugualmente. Credetemi, la banca è più degli uomini" (J. Steinbeck, Furore, cit., p. 46).
"E nell'uomo del trattore cresce il disprezzo che alligna solo nell'estraneo, che di comprensione ne ha poca e di legami nessuno... ... Ma l'uomo-macchina, che guida il trattore morto sulla terra che non conosce né ama, capisce solo la chimica; e disprezza la terra e insieme se stesso. Quando le porte di lamiera ondulata sono chiuse, lui va a casa, e la sua casa non è la terra", (J. Steinbeck, Furore cit., p. 163).

È un eroe Ethan, protagonista de "L'inverno del nostro scontento".
Ethan appartiene a quella fetta d'umanità dotata di coscienza e che, perciò, sottopone se stesso a un continuo processo.
"E' come se nelle buie e desolate grotte della mente si fosse riunita una giuria senza volto, a decidere. Questa zona segreta insonne, in me, io l'ho sempre pensata come un'acqua nera, profonda, un luogo di fecondazione, da cui solo poche forme emergono in superficie", (John Steinbeck, L'inverno del nostro scontento -The Winter of Our Discontent,1961-,tr. Luciano Bianciardi, Bompiani, 2011, p. 117).
Ethan è lacerato tra il desiderio di rientrare tra i ranghi di una classe sociale più elevata, da cui è stato espulso – si è autoespulso, in effetti- a causa di un fallimento commerciale (anche qui, una sorta di rifiuto), e i suoi principi morali che lo trattengono dal mettere in atto una truffa che, però, gli renderebbe possibile realizzare il suo obiettivo. Ethan resiste alle tentazioni del sogno americano: più in generale, resiste alla tentazione del male a cui lo invita il diavolo tentatore che è sì fuori, nei diversi emblemi della società dell'opulenza e dell'apparenza, ma che è, principalmente, in se stesso. Egli esce vittorioso da questa lotta, ma paga un costo psicologico alto, tanto da portarlo alla soglia del suicidio.
Allo stesso tempo, è eroe anche chi incarna il male assoluto, come la demoniaca Cathy/Kate di "La Valle dell'Eden". Così come lo è la moglie di Curley, personaggio di "Uomini e topi", vero simbolo del diavolo tentatore, che alla fine vince sul povero Lennie, pur rimettendoci la vita (cfr. J. Steinbeck, Uomini e topi, cit.).

-La Valle dell'Eden: la capacità di scelta come segno di appartenenza all'umanità.
È tra le pagine di "La Valle dell'Eden", comunque, che il confronto tra colpa e redenzione è particolarmente sviscerato e sofferto. Lo è in misura palese così come è più che evidente il costante riferimento biblico (oltre ai "cattivi" che hanno il nome che inizia per C e i "buoni" per A, è significativa la cicatrice che marchia la fronte di Cathy e di Charles, proprio come Caino fu segnato da Dio per distinguerlo e proteggerlo), che fa da sfondo all'intera vicenda, caratterizzata da una radicata presenza del Male che si manifesta attraverso inganni, violenza fisica, odio, rifiuto. Una presenza tanto forte da apparire l'unica origine, e la sola destinazione possibile, dell'agire umano.
Eppure, a tratti, il Bene si fa sentire e lo fa altrettanto fortemente.
Il Bene, ad esempio, è in Adam- il cui rifiuto del dono di Cal non nasce dalla mancanza di amore ma di un elevato rigore morale- e nell'altro suo figlio Aron (che partirà per la guerra per purificarsi di una colpa che non ha, ossia avere una madre prostituta). Così come il Bene alberga, generando forme di ingenuo entusiasmo oltre che di proficua creatività, in Samuel Hamilton. Ed è presente in Abra Bacon, anche se alla fine la giovane si innamorerà di Cal (cfr. J. Steinbeck, La Valle dell'Eden, cit.).
-Lee, il servitore cinese, ago della bilancia tra speranza e rinuncia.
Il Bene è massimamente in Lee, il servitore cinese di casa Trask, americano almeno quanto i suoi stessi padroni. Lee è il vero ago della bilancia tra le molteplici manifestazioni del bene e del male che pervadono la storia narrata nel romanzo.
Lee il saggio, il vero eroe della vicenda, Lee che diventa il collegamento tra i diversi destini dei membri delle famiglie Trask e Hamilton.
Proprio attraverso questo personaggio emerge l'esortazione a non rassegnarsi alla prepotenza del Male e a scegliere, invece, il Bene. Perché, secondo Lee, è qui la forza dell'uomo, quella facoltà che lo distingue da ogni altro essere vivente: la possibilità di agire secondo coscienza e, così, sconfiggere il Male.
È quanto emerge in modo particolare in un frammento di dialogo tra il servitore e Samuel Trask, un altro membro di quella fetta di umanità che si interroga su se stessa:
"Ma -Tu puoi! - Ah, quello sì che esalta la grandezza dell'uomo e gli dà una statura paragonabile agli dèi, perché malgrado la sua debolezza, il suo orrore e l'assassinio del fratello, ha ancora la possibilità di scegliere. Può scegliere la sua strada e combattere per quella. E vincere...È facile, per pigrizia, per debolezza, rifugiarsi nel grembo della divinità e dire-Non ho potuto fare altro, la strada era segnata-. Ma pensate alla superiorità della scelta! Questo sì che fa di un uomo un uomo", (J. Steinbeck, La Valle dell'eden, cit., p. 38).
In questo passo Lee apre alla speranza richiamando il passo della Bibbia in cui Dio esorta Caino a non rassegnarsi al male e alla colpa, pur essendosi egli macchiato di un atroce delitto.
"…il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è la sua bramosia, ma tu dominala" (Genesi 4, 7, in La Sacra Bibbia, Ed. CEI, 2001, p. 4).
Dunque, Caino può sottrarsi al male. Non lo farà, come sappiamo. Eppure, avrebbe potuto! Se lui poteva, può certamente l'uomo.
-Denuncia sociale, denuncia esistenziale: mai schierata, mai urlata.
La narrativa di Steinbeck non è consolatoria. È un'opera di denuncia a volte prettamente sociale e, altre, di sapore più esistenziale e che, però, mai si schiera ideologicamente né si avvale – per giungere al suo scopo- dell'urlo, dell'esagerazione: all'autore basta il suo talento artistico per realizzare i suoi scopi.
Nei romanzi di Steinbeck ogni frase è una pennellata. Ogni parola è un colore. E quelle parole e quelle frasi, insieme, vanno a formare un mosaico armonioso ma non per questo scontato, prevedibile. Le immagini disegnate attraverso le parole sono vivide, precise, perfettamente coerenti con l'intenzione dell'autore di descrivere una realtà che è, sì, nella sua testa ma che egli vuole far arrivare al lettore così vera più della realtà "vera": è una dimensione carica di segni, di simboli e di emozioni.
Le frasi mai hanno fretta di concludersi. Mai un periodo o dura troppo o si interrompe prima del tempo necessario all'autore per dire quel che ha intenzione di dire. Le parole, in Steinbeck, delimitano il tempo ma senza comprimerlo, senza soffocarlo. Le parole lo governano, il tempo, non il contrario: le parole imprigionano le cose e lo fanno per meglio mostrarle e per mostrare tutto quel che, per loro tramite, è possibile evocare.
La perfezione del suo stile narrativo, l'estrema coerenza tra intenzione e parola, l'evidente piacere che l'autore prova attraverso l'atto dello scrivere- l'ambizione che si manifesta pagina per pagina senza alcun tentativo di mascherarsi per qualcosa di diverso da quel che è- non devono trarre in inganno: in Steinbeck non c'è alcuna autoreferenzialità. Alcun compiacimento fine a se stesso. Tra le sue pagine si avverte fortemente la presenza del lettore, che è la variabile essenziale della dimensione in cui spazia il talento artistico dell'autore.
Steinbeck scrive anche per il lettore. Anzi, principalmente per il lettore.