-Philip Roth, Zuckerman Scatenato (Zuckerman Unbound, 1981), tr. Vincenzo Mantovani, Einaudi, 2014.

"Zuckerman era alto, ma non quanto Wilt Chamberlain. Era magro, ma non come mahatma Gandhi. Nella sua solita tenuta costituita da una giacca di velluto a coste marroncino, un maglione grigio a collo alto e un paio di calzoni di colore cachi, era vestito bene, ma non era un Rubirosa. E i capelli neri e il naso prominente non erano, a New York, il segno distintivo che sarebbero stati a Reykjavík o Helsinki. Eppure due, tre, quattro volte la settimana lo riconoscevano comunque", p. 8.
"Sembrava un grosso animale che latrasse, sì, una foca rampante che avesse trovato la parola. Era il linguaggio, presumibilmente, delle zucche dure", p. 49.
"…la mia domanda è questa: fin dove vuoi permettere alla paranoia di portarti, prima che ti porti fino in fondo?", p. 97.
"A che serve il sapere, se va tutto sprecato?", p. 117.
"Henry era di gran lunga il più alto, il più bruno e il più bello di tutti gli Zuckerman maschi, uno scuro e virile Zuckemran del deserto i cui geni, caso unico per il loro clan, sembrava aver viaggiato direttamente dalla Giudea al New Jersey senza la deviazione della Diaspora", p. 152.
"Un libro, un'opera di fantasia rilegata tra due copertine, che produce una fantasia vivente sottratta alla schiavitù della pagina, che produce una fantasia non scritta, illeggibile, inspiegabile e incontenibile, invece di fare…quello che dovrebbe fare l'arte, cioè dotarci delle norme morali per arrivare a distinguere tra il bene e il male", pp. 101-161.

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